venerdì 26 ottobre 2007

preferisco i vulcanologi

Il Krakatoa è un vulcano di quelli che quando si incazzano lo fanno sul serio.
Dopo l'eruzione del 1883, che fu sentita fino a 5000 chilometri di distanza, per mesi e mesi si susseguirono tramonti mai visti - e in tutto il mondo - che furono riprodotti da un pittore inglese, William Ashcroft (vorrei tanto vederli, ma in rete non li ho trovati) dovuti, si presume, al pulviscolo dell'aria che aveva avvolto praticamente tutto il globo.

Non stupisce che i vulcani - simbolo di potenza distruttrice e al tempo stesso creativa, tanto creativa da mutare i connotati del territorio facendo nascere nuove montagne e nuove fertili isole, legati al fuoco e alle viscere della terra fossero considerati delle divinità.

Una delle "ragioni" di chi è avverso alla scienza in favore della religione e del pensiero mitologico, è che il mondo - senza il mito "perde di fascino".

E' curiosa, come motivazione, trovo. Perché non dubito che vivere nel grembo amniotico del mito - grembo amniotico condiviso - sia un modo ad un tempo confortante, e straordinariamente vivido di essere al mondo. Un modo che ci consente di sentirci "integri", di vivere il nostro ambiente e chi con noi lo condivide e lo interpreta sotto la stessa lente come un tutt'uno, un continuum che ad un tempo ci ingloba, ma ci precede e ci sopravvive , che ci guida e ci vigila, sollevandoci da ogni responsabilità o comunque indicandoci una strada univoca.

Ma rimpiangere quel grembo è come rimpiangere l'infanzia perduta: quando ne usciamo è per sempre, e non c'è possibilità di ritorno: con la mia amica Maddalena, in quarta ginnasio, provammo a "giocare" a make believe come avremmo fatto spontaneamente non più di due anni prima. Fu un tentativo goffo e patetico, sostanzialmente triste, perchè fu subito evidente che non potevamo più: che quella forza straordinaria dell'infanzia era abbandonata, e per sempre.

Ecco, credo che il tentativo di "conservare" il fascino del mito attraverso una finzione sia sostanzialmente un'operazione necrofila.

4 commenti:

restodelmondo ha detto...

Nelle parole di Richard Feynman: "Poets say science takes away from the beauty of the stars — mere globs of gas atoms. Nothing is "mere". I too can see the stars on a desert night, and feel them. But do I see less or more? The vastness of the heavens stretches my imagination — stuck on this carousel my little eye can catch one-million-year-old light. A vast pattern — of which I am a part... What is the pattern or the meaning or the why? It does not do harm to the mystery to know a little more about it. For far more marvelous is the truth than any artists of the past imagined it. Why do the poets of the present not speak of it? What men are poets who can speak of Jupiter if he were a man, but if he is an immense spinning sphere of methane and ammonia must be silent?"

Nidiaci ha detto...

"Ecco, credo che il tentativo di "conservare" il fascino del mito attraverso una finzione sia sostanzialmente un'operazione necrofila."

Non potevi esprimere meglio il concetto. Sono molto d'accordo.

Rosa ha detto...

x restodelmondo:
bella citazione, e pone questioni molto interessanti.

x martinez:
al quaeda docet. no?

Anonimo ha detto...

Se qualcuno intende "conservare il fascino del mito" è perché lui per primo lo considera come qualcosa di falso, o perlomeno come una forma infantile di scienza. Quello che gli scientisti non capiranno mai è che il fatto che un eruzione vulcanica sia descritta in termini scientifici, non esclude affatto la sua divinità. É una questione di atteggiamento mentale, c'è chi crede che descrivendo il come si possa rispondere al perché, io non sono fra questi.