venerdì 28 dicembre 2007

pipistrelli e grattacieli a Sidney

per palmiro pangloss

Eccotelo il tuo vombato. Vado assomigliandogli ogni giorno di piu'.

logiche conseguenze

Ci si potrebbe chiedere come mai, in un remoto paese della tasmania, la gente dipinga le loro case di murales, si dedichi alla topiaria, e porti a spasso animaletti domestici come questo, come se in Australia non ci fossero gia' bestie abbastanza strampalate per andarle a cercare altrove:



Non ne sono certa, ma potrebbe forse essere perche' a pochi chilometri da li si trovano campi come questo? La Tasmania, primo produttore mondiale di oppio per usi legali, non mette che un filo spinato e qualche cartello, a difesa dei preziosi fiorellini.

confermo, va in senso antiorario

bestie marziane

In Tasmania, Tupaia e' stata evocata piu volte. Avrei voluto fare un post per chiederle parere, riguardo a ste meduse stronziformi trasparenti sulla spiaggia, in qualita' di protettrice delle creature bizzarre della terra, ma la connessione li'era pessima, e lo faccio ora.



A proposito di bestie bizzarre, ma certo che i registi americani di fantascienza non hanno inventato niente, eh?



quarantena

E' strana, questa natura australiana. Sovrabbondante, rigogliosa, primordiale, un po' marziana, e - ahime' - fragile. Un po' perche' isolata per moltissimo tempo, un po' perche legata ad un territorio amaro e infertile e quindi fondata su equilibri delicati: quando, entrati a Melbourne, hanno sequestrato e assassinato con un coltello (a titolo di dimostrazione) delle morbide palline da giocoliere imbottite che mio figlio si era portato nello zainetto , perche' ai raggi x avevano visto del verde (e quindi vegetale) nell'imbottitura, abbiamo pensato fossero un po' fissati con sta storia della quarantena. Ma poi, vedendo come la fitosfora ha fatto stragi di eucalipti, come i conigli e le volpi hanno annientato intere speci di marsupiali, la faccenda diventa un po' piu chiara> ogni cosa introdotta qui ha creato un casino.

Il cagnetto qua sotto non e'antidroga, e' un cagnetto che identifica avanzi di panini all'entrata in Tasmania (dall'Australia, eh, non dall'europa)


sabato 15 dicembre 2007

zitti zitti

Hobart e' una specie di paradiso allucinato, casette vittoriane e minigrattacieli che si estendono su fiordi, golfi, lagune, il tutto in una luce abbacinante e surreale.
Il mio amico Tim dice che l'Australia gli ricorda l'America. Bah, qui ad esempio, alle quattro di sabato i negozi sono tutti chiusi, tranne le enoteche al porto, che offrono a buon prezzo vinello tasmano, pesce fritto e patatine. Poco fervore ideologico, identitario, molta gente orientata seriamente a godersi la vita.
Mi chiedevo: Hobart, e su un'altra scala anche l'Australia, fanno parlare poco di se':sara' perche' non vogliono che qualcuno se ne accorga?

pinguini

In una delle tante spiagge incontaminate non lontano da Melbourne, dopo il tramonto (in questo periodo alle otto di sera) la nostra specie si riunisce in un rito collettivo internazionale, che consiste nell'osservazione dei pinguini che attraversano la spiaggia per entrare nel 'bush' la macchia mediterranea non mediterranea australiana, a dormire.
Verso le otto di sera veniamo sistemati in una specie di teatro a gradoni da una serie di ranger burberi ma buoni, che hanno il duplice compito di dare spiegazioni zoologiche e cioncare le mani a quelli che tirano fuori la macchina fotografica: se qualcuno sgarra, viene allontanato dal teatro. Non c'e' l'ombra di un pinguino, all'inizio, ma i gabbiani tentano di rubare la scena, mettendosi di fronte al compatto schieramento umano nella speranza di ottenere un po' di cibo, che puntualmente ottengono dai bambini annoiati dall'attesa.
La scena dei gabbiani - consueta - viene interrotta dagli 'oooh' e dagli 'aaah' di qualcuno; sul fondo iniziano ad emergere, a gruppetti, dei puntini bianchi e neri, e tra loro si stacca una prima creaturina barcollante ed impavida e attraversa la spiaggia.
L'emozione dell'evento viene leggermente rovinata dalla stuporosa meraviglia dei turisti giapponesi, che con i loro commenti per un attimo ci fanno piombare uno di quei manga pre-scolari tenerelli. Penso che sarebbe bello vedere questa scena in solitudine, e mi chiedo se e'quella l'unica spiaggia favorita e perche'.
I pinguini escono a gruppetti di venti, trenta. L'attraversamento della spiaggia e' un momento di grave tensione: si sentono scoperti e vulnerabili e camminano con l'aria di chi vuole sbrigare la faccenda con la maggior fretta possibile, senza distrazioni di sorta e con la massima concentrazione.
Qualche bestiola isolata infatti viene circondata subito da gabbiani, piu'per una sorta di bullismo animale che di reale intenzione di nuocere, e un gruppo di pinguini spaventato si rituffa in massa in acqua. I gruppi si contano a decine, i pinguini sono migliaia, ma il tutto non dura piu' di tre quarti d'ora.
Scopro da un ranger burbero ma buono un paradosso: non e' quella l'unica spiaggia utilizzata per entrare nel bush, ma i pinguini -bestie territoriali- utilizzano sempre la stessa spiaggia, e questa colonia e' abituata agli umani e non si spaventa piu'.
Paradossalmente, si vedono quindi molti piu' pinguini li' che altrove, e si e' molto meno nocivi che non rendendosi indipendenti. Sopportare la manghizzazione dell'evento e' dunque indispensabile e positivo.
Quando ormai anche gli ultimi pinguini sono emersi, ci si avvia alla base attraverso la lunga passerella, ma lo spettacolo e' tutt'altro che finito.
Questa e'la stagione degli amori, il tragitto nella boscaglia e' costellato di coppie di pinguini che si sbaciucchiano e amoreggiano, vicinissimi a noi e indifferenti alla nostra presenza e tutto il bush e' una sinfonia di grida di piacere e di lotta: neppure i commenti in giapponese riescono a spegnere lo stupore.


La foto che potete ammirare qua sotto e'stata senza flash dall'interno dell'interno della manica della mia felpa, a scopo di aggiramento dei ranger burberi ma buoni.
Non rende l'idea ma di certo non ha disturbato i pinguini.

mercoledì 12 dicembre 2007

prime notizie dagli antipodi

Strano a dirsi, ma a stare a testa in giu' non ci va, il sangue alla testa.

lunedì 10 dicembre 2007

men vo'

E va bene, lo ammetto.
Io dopodomani a quest'ora sono a Melbourne, in mezzo ai pinguini.
Anzi, sarò a cena con l'amica Mirna: è un viaggio che sogno da anni.

Il giro è questo, con puntata al festival di Woodford.



Vedrò amici cari e parenti mai conosciuti.



Il bambino vestito da marinaretto della foto ora ha ottant'anni, Roberto d'Australia, e io lo conoscerò. (e la seconda in alto da destra è mia nonna Eugenia, da cui ho ereditato lo sguardo truce)

Non so se scriverò, dipende da quanto sono ingorgati gli internet point, e soprattutto da quanto essere in un altro mondo sia estraniante o stimolante, rispetto alla routine internettiana.
Comunque, se non mi sciolgo per abuso di bellezze tasmane, non vengo divorata da un coccodrillo, non fuggo con un canguro o non vengo arrestata per passato limite d'età nell'uso degli di ostelli della gioventù, a metà gennaio son di nuovo qui.

domenica 9 dicembre 2007

peculiari considerazioni sui semiti

C'è uno, sul newsgroup di politica internazionale, che sostiene con molta serietà che sono in tanti a "spacciare il retropensiero craxiano per retropensiero semita".

sabato 8 dicembre 2007

viaggi nel tempo

Fa sorridere e fa piangere: è il post di oggi di MMAX.

venerdì 7 dicembre 2007

dividi ed impera

Già. Noi dello zog ne sappiamo una più del diavolo. Da Perle Complottiste.

mercoledì 5 dicembre 2007

dedicato ai dubitosi

Questa la dedico ai dubitosi miei, 'che di creduloni ne conosco pochi.

"Dubitare di tutto o credere a tutto
sono due strategie altrettanto comode.
Con entrambe eliminiamo la necessità di riflettere."

Henri Poincaire

lunedì 3 dicembre 2007

e io cago nel tuo giardino

Ora, ci sono dei cartelli fatti con i led, pagati con i denari pubblici, che servono ad informare i cittadini di qualcosa.

A Roma, i cartelli con i LED informano del traffico, punto.

Da qui a piazza Trilussa, traffico scorrevole/intenso/congestionato.

Naturalmente i cartelli con i LED possono (possono) informare delle iniziative del comune.

Che ne so. I costumi della tradizione tirolese secondo la visione del paesaggista Wolf Strohnz.

Sticazzi, a non me ne frega nulla ma quel sindaco lì ha pensato che fosse una buona iniziativa, e la pubblicizza. Non l'ho votato, ma contenta i suoi elettori e li informa.

Veltroni può - pari merito - pubblicizzare il suo festival del cinema, buono o cattivo che sia.

A dire il vero c'è anzi da chiedersi - veramente - perchè non l'abbia fatto, e non l'ha fatto. Vivo a Roma e il cartello con i LED non mi ha mai detto "oggi all'arena Sarcazzo diamo il film Fanculo".

Macchè. Come ogni giorno: traffico da qui a piazza Trilussa: scorrevole/intenso/congestionato.

E - viceversa - la povera Rosy ha trovato i suoi rapper da mettere su you tube e se li è pagati. No? E' una roba privata, la vedete la differenza?



Il sindaco di merda di Montegrotto invece ha una bella pensata.

Perchè, il cartellone coi LED destinato ad informare la cittadinanza, non può essere usato per cagarci dentro i miei pensierini di merda? Tipo: viva la lazzio, a kasa gli immigrati, fankulo ai rikkioni, bianki di merda bruciatevi le borsette firmate, immigrati tornate a kasa vostra?

Ed ecco che un nuovo mattone del caos è stato posto.

Che differenza c'è - mi chiede un mio amico sedicente radicale ma in odore di leghismo occulto - tra il pubblicizzare il festival del cinema e il pubblicizzare la pupù del sindaco?

Chi non vede la differenza tra la merda e la cioccolata, può provare a farsi una plastica alle papille gustative. Mi pare difficile che possa spiegargliela io.

west bank story

sabato 1 dicembre 2007

mind the gap

Quando, in Kerala, giovani e intrepidi turisti in viaggio di nozze accettammo - per ben due giorni - l'ospitalità di una simpatica coppia, Satchindram e Mala, conosciuta in un tempio dove eravamo andati a sentire musica classica indiana, non sapevamo ancora che avremmo avuto l'esperienza più bella e difficile della nostra vita.

Il gap che ci divide dalle altre culture è pericolosissimo perché è invisibile. Una volta arrivati a casa loro, Mala mi presentò una anziana donna vestita di stracci, come "our great mother".

Satchindram e Mala vivevano in una casetta meravigliosa, con giardino, ma totalmente priva di tutte le comodità elettriche per noi scontate, la cucina era un focolare nero di fumo: altro che lavastoviglie, non c'era neppure la cucina economica.

"Our great mother", dicevo, disse. E chiesi a Mala se la vecchia stracciona era sua madre.

La mia ospite, tanto gentile e ad un tempo tanto lontana, pur essendo un'insegnante colta e non sprovveduta, reagì con evidente stizza. Come potevo pensare che una donna vestita di stracci potesse essere sua madre? "

"She's our servant" mi rispose piccata.

Era, la serva, una serva per la verità più simile a una schiava e quanto di più lontano immaginabile da una colf: in cambio del suo lavoro riceveva solo ed esclusivamente cibo e una branda per dormire. Per una persona vissuta in una società fondata su caste chiuse la mia domanda era un'offesa: non poteva immaginare, Mala, un mondo - il nostro - dove una quota non piccola dei laureati ha dei nonni contadini, peraltro dotati essi stessi, e da decenni, di ogni sorta di elettrodomestico. Ne' noi potevamo immaginare quello che pure sapevamo, ovvero che i muri tra casta sono pressoché invalicabili.

Furono due giorni meravigliosi e difficili, punteggiati da continui errori. Io restavo imperterrita accanto al mio novello sposo e agli altri uomini, impedendo loro di rilassarsi con un bicchierino, senza accorgermi che le donne mi aspettavano in cucina - festose - insieme ai bambini. Non doveva essere facile neppure per loro avere una coppia di simili zotici per casa e presentarli agli amici: eppure lo fecero con festosità e generosità immensa, perdonando le nostre topiche, e sarò loro grata per sempre.

E' stato difficile ma non è stato un errore, accettare quell'ospitalità, perché quel mondo lontano, classista e diverso - nel bene e nel male - non frusta, non reclude, non chiede la pena di morte a chi non vede i gap culturali.

Gillian Gibbons, invece, ha commesso un errore grave.

Non l'errore - difficilmente evitabile - di dare un nome comune ad un orsetto di Pelouche. Il gap culturale per lei era invisibile: non c'è nulla di meno bestiale di un Teddy Bear, più simile al caro amico immaginario che ci consola nei momenti di solitudine che al puzzolente e poco cordale bestione che popola foreste e ghiacci polari: e presumo sia pieno il mondo di Muhammad (così come di Giovanni, Jerry e Pedro) bruttini, poco intelligenti o antipatici, offese involontarie e ambulanti al Profeta assai più del tenero pelouche.

O forse è proprio la somiglianza del Teddy Bear - consolatore immaginario e sostitutivo della presenza genitoriale - ad una sorta di divinità, ad aver fatto scattare la molla dell'esecrazione. Come fa notare Dawkins la stessa idea di un Dio Personale potrebbe essere un frutto collaterale e secondario della nostra tendenza a produrre il Binker, il Consolatore Interno sempre presente nel momento del bisogno.

Era in realtà proprio il gioco di dare il nome all'orso, in se', foriero di pericoli invisibili. Perché il pelouche è un oggetto, perchè rappresenta un animale, perché l'uso del pelouche come sostitutivo delle carezze della mamma quando il bambino viene allontanato di malavoglia dal lettone è un uso occidentale e presumibilmente del tutto esotico, per un sudanese.

L'affetto per il pelouche, e l'atto - banalissimo e usuale per noi che chiameremmo senza indugi "Cristina" , "Matteo", "Moses" un pelouche - di chiamarlo con il nome del Profeta è in Sudan percepito come bestemmia, o peggio idolatria.

Ma l'errore da gap - come dicevo più su - non è purtroppo evitabile, perché è per l'appunto invisibile. E' un errore molto più complesso di quanto non sia apparso dai commenti sui giornali, e una maestra è una maestra, non è un antropologo culturale.

Temo piuttosto che il vero errore della Gibbons - errore evitabile - sia stato quello di farsi assumere in un paese dove gli equivoci culturali vengono denunciati alle autorità giudiziarie e trattati con il carcere e con le frustate, ovvero dove le differenze culturali non siano sanabili con un semplice reciproco e salutare scambio di informazioni.

Si tratta - semplicemente - di non andare mai e per nessun motivo in paesi così.