sabato 23 giugno 2007

stuprare i tabù

L'attore comico Michael Richard si diverte a chiamare un suo spettatore "nigger".




Dalla sala, molti si alzano e se ne vanno.

Non c'è giorno in cui un "presunto" originalone (aahahahhahahahahha, non è curioso che i più ciechi e pedissequi imitatori delle mode si ritengano originali?) non si diverta a scatenare scandalo varcando brutalmente i confini della correttezza politica.

La correctness ha stufato. Si vuole poter dire tutto il male possibile degli ebrei, dei negri, dei froci. Si gioca a stuprare l'unico tabù su cui si reggono le nostre fragili società, formate da tessuti di minoranze: il tabù che ritiene "vergognoso" e maleducato offendere in base a criteri etnici, o sessuali, soprattutto se si tratta di una minoranza e ancor di più se si tratta di una minoranza storicamente emarginata o perseguitata.

Mentre i preti/rabbini/mullah e i loro seguaci sbraitano per ricreare un passato patriarcale inesistente, e tappezzano Roma di cartelli sostenendo che ci sia una "unica" comunità da difendere -la famiglia- (vergogna! e la scuola? E il quartiere? Gli ospedali? Le associazioni?) il concetto stesso di "comunità" viene quotidianamente vilipeso .

Non c'è peccato a lambire un tabù, a metterne i ridicolo gli aspetti più grotteschi, più ipocriti, più sciocchi: è anzi il compito specifico della satira, questo. Non c'è peccato ad abbandonare i tabù obsoleti, perchè le società cambiano e se insultare il re o l'aristocrazia poteva essere peccato oggi è perfino superfluo.

C'è peccato a negare la legittimità, a pisciare sopra, a stuprare l'unico tabù che nasce per tutelare e proteggere la convivenza civile.

E infatti giocare con i limiti, con i confini, stuzzicare la frontiera della buona educazione produce conoscenza, svela meccanismi, e provoca ilarità: stuprarli - come va di moda oggi - non fa ridere, per nulla.

Fa solo tristezza.

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