lunedì 26 giugno 2006

il volontario, questo sconosciuto

Sul blog di Ipazia si discute di volontariato.
Non sono in grado di valutare gli aspetti filosofici della faccenda, ma politicamente il volontariato in se' non mi fa un effetto molto diverso dalla carità: la mia se pur blanda, lacunosa e rinnegata formazione marxista mi porta a pensare che le cose storte vadano raddrizzate con strumenti politici, e che la carità (e il volontariato) con la loro stessa esistenza - invece - le ratifichino, che siano solo una sorta di facciata edificante del problema.
E' un opinione discutibile (ma a che servirebbe oblogghe, se non a sciorinare opinioni discutibili?) e io stesso la contraddico ogni volta che mi capita di fare la carità.
Quanto invece alla personalità del volontario, mi pare che l'aforisma di Nietzsche citato da Ipazia sia attinente. Chi è il bravo medico che parte a curare i feriti di guerra, in un paese in cui i medici di base sono burocrati incapaci e non è poi così raro morire con le bende scordate nella cistifellea? Io non sto a farne una questione "morale" rovesciata, non giudico la chiamata di chi parte, lancia in resta, riservando a se' stesso la peggior destinazione del mondo, mi limito a chiedermi cosa lo muove. Quel che certo è che il bravo medico di famiglia, il professionista capace, che sa prendersi cura del dolore del paziente, che non scappa di fronte al dolore della madre, che non dedica minor tempo al paziente che a Natale arriva a mani vuote, è persona che paradossalmente sembra essere assai più rara dell'Eroe.
Quasi inesistente.
Non ha impatto mediatico, certo, ma il problema è che è difficile trovarlo pure nella vita: eppure il bravo medico/maestro/infermiere - migliorererebbero l'esistenza di noi tutti, il nostro tessuto sociale, con delle ricadute complessivamente affatto trascurabili.
Sì, lo so - con che coraggio togliere Gino dalla sua Strada rosso sangue e inserirlo in una banalità (fatta magari di vecchi soli con l'alzheimer, o di bambini con la leucemia?)? Non è forse vero che è lì dove lui sceglie di andare, il luogo può lenire un maggior numero di sofferenze, salvare un maggior numero di vite?
Ma la vocazione di questi eroi, è sempre e veramente a lenire quante più sofferenze possibili? E' un fatto quantitativo, che sposta Gino Strada da un ospedale comunale di Lambrate ad un tendone di Kabul? E se è un fatto quantitativo, che significato ha il progetto di un ospedale per piccoli cardiopatici in Africa, quando un piccolo malato di cuore africano assorbe le energie e il denaro che basterebbero a curarne 100 malati di dissenteria? E Madre Teresa - con la sua feroce battaglia contro il controllo delle nascite a Calcutta, avrà davvero tolto più sofferenze di quante non ne abbia create, nell'arco della sua caritatevole esistenza?

1 commenti:

Anonimo ha detto...

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