mercoledì 25 luglio 2007

back in barcelona - prima parte: la catalanità

"Ai miei tempi era meglio" è una frase che evito di formulare persino nel privato di me medesima, e figuriamoci.
Ho visto attempate signore annaffiarsi i solchi vermigli e fumanti come vulcani appena eruttati sulla loro coccia incandescente e ferita al lamento di "il sole non è più quello di una volta".
Naturalmente lungi da me il minimizzare i pericoli del buco nell'ozono, ma resto dell'idea che un essere umano, e con lui la sua povera pelle, degeneri in tempi più rapidi del sole, financo del povero sole martoriato dalle bombolette deodoranti.

E così, in questi giorni a Barcellona, mi sono sorpresa più volte a dovermi ripetere che la rambla non era stata proditoriamente allungata dalla mia ultima permanenza in città, che le cozze non erano vecchie e che no, quel vinello non era fatto con le cartine.

Attraversare, dopo una visita al barrio gotico, le ramblas in lungo e in largo zavorrati di paella e tempranillo è qualcosa che a diciassette anni si fa con una certa nonchalance. A venti, come nel mio caso, già un po' meno.

Il punto è che una costante vigilanza sulle proprie distorsioni prospettiche e sul proprio considerarsi misura del mondo, non ripara purtroppo dall'inevitabile sorgere di una nuova categoria di errori.

E così ci ho messo un po' a capire che le sinapsi del mio sia pur polveroso spagnolo non erano affatto evaporate negli anni, ma che proprio in Catalogna una qualche genia di leghisti appena un po' più efficienti dei nostri nell'opera di abbarbicamento identitario suicida hanno preso il sopravvento, e lo spagnolo da quelle parti - semplicemente - non si parla più.

Non si tratta di un lieto e vivace omaggio alla tradizione dei padri, praticato nelle cucine delle famiglie e nei mercati, no. I loro cartelli parlano català, la loro radio parla català, la loro televisione parla català, e i bambini a scuola imparano tutte le sacrosante materie in català, e ovviamente studiano il català.
Allo spagnolo son riservate un paio d'ore alla settimana, e che si fotta, quel babbeo di Cervantes, quel che conta è coltivare e conservare la catalanità, fattore che consiste nell'avere più o meno lo stile di vita, di pensiero, di vestiario, di abitudini, rientranti nella gamma più o meno vasta praticata dal materiale umano di qualsiasi capitale europea, ma nel contempo parlare rigorosamente e solo cispadano, snobbando l'idioma che è secondo per diffusione in tutto il globo terracqueo. [continua]

15 commenti:

Numero 6 ha detto...

Come è capitato anche al basco, le lingue locali spagnole erano abbastanza parlate ma furono bandite durante il franchismo, rendendole così identitarie.

Rosa ha detto...

sì, infatti era un delirio pure quello. Comunque, so che è un punto di vista da wwf, e non intendo motivarlo più che tanto, ma capisco di gli sforzi di preservare il basco più che quelli di preservare il catalano.

Anonimo ha detto...

Beh siamo fortunati: da noi il massimo che hanno ottenuto sono i cartelli bilingue italiano-dialetto, e mai a sud di Piacenza.
Eppure, Mussolini lo abbiamo avuto anche noi.

Paolo

Anonimo ha detto...

pochi giorni fa, ho letto di un altro resoconto su Barcellona:

http://lullabye.splinder.com/post/13132569

a farlo una tua coetana ventenne ;-)

Anonimo ha detto...

Eppure il catalano secondo me è una lingua bellissima, molto musicale, con una letteratura ricca e molto bella. Poi, certo, coi miei amici catalani ho sempre parlato spagnolo (cioè, castigliano).

Rosa ha detto...

x filomeno: grazie della segnalazione, ora vado.
x falecius: Guarda, non ho niente contro il catalano - anche se pare davvero un dialetto del nord Italia - e so che c'è bella letteratura. Fra l'altro amo moltissimo anche i dialetti italiani, semplicemente trovo pazzesco che i bambini catalani - così mi è stato detto - crescano senza sapere lo spagnolo, anche perchè si tratta di una lingua passepartout, un po' come l'inglese, ed espellerla dal proprio patrimonio culturale per campanilismo è un po' delirante.

Anonimo ha detto...

Effettivamente è piuttosto sciocco, si tratta di un arroccamento identitario eccessivo e soprattutto controproducente per loro stessi. :)
(tra l'altro, mi chiamano Falecio per una questione che ha che fare con una ragazza catalana e certi scambi "linguistici" tra noi ;) Vabbè, è una storia lunga... Comuqnue è stata lei a farmi conoscere ed apprezzare la poesia catalana )

Rosa ha detto...

Perchè, che vuol dire "falecius" in catalano?

Pietro Cadelli ha detto...

Francamente non mi riesce di definire bellissimo il catalano, insomma , è bello piú o meno come il lunigiano, o giú di li, cioè è bello nella sua dimensione folklorico-vernacolare, quello che è ridicolo è che come tutte le lingue vernacolari, il catalano non disponeva prima del delirio nazionalista di un vocabolario molto esteso e quindi è uno spasso leggere i calchi pedestri per esprimere i capitolati degli appalti pubblici, per esempio, o le ordinanze relative al trattamento degli olii esausti in catalano. È come se si cercasse di scriverli in genovese evitando il "belin".
Personalmente mi sono confrontato con un aspetto ancor piú brutale del catalanismo, quando, mia figlia è stata per lunghissimo tempo ospitalizzata nel reparto di oncologia d Vals d'Ebron e non ha potuto frequentare la scuola perchè non c'erano corsi in castigliano.
Cordialmente
genseki
Murcia

Anonimo ha detto...

Penso che se un governo mi vietasse di uasare la mia lingua (questo "vernacolo" infatti era la lingua ufficiale del regno di Aragona) per quaranta anni e mi imponesse di usarne un'altra, quest'ultima non mi sarebbe simpaticissima. Se poi aggiungiamo il fatto che quel governo è salito al potere in modo violento e che la Catalogna è stato uno dei luoghi in cui si è resistito più a lungo, direi che la reazione è piuttosto comprensibile.

Pietro Cadelli ha detto...

Per Varg

vernacolare non è mica un insulto è una dimensione importante dell'universo linguistico umano.
Per quanto ne so io il regno di Aragón fino al 1412 impiegava negli atti di cancelleria il latino, il catalano, l'aragonese e il provenzale il 1412 è l'anno dell'avvento della dinastia di Trastamara che comportó una rapida castiglianizzazione delle cancellerie.
Insomma, l'affermazione che il catalano era la lingua ufficiale aragonese è un po' esagerata.
cordialmente
genseki

rosalucsemburg ha detto...

x Varg: indubbiamente il "divieto" di parlare catalano è una violenza fascista, che non era mia intenzione difendere. Sono però dell'idea che crescere una generazione di persone nate in Spagna che non imparano e non parlano lo spagnolo sia errore del tutto simmetrico e di stampo simile a quella violenza: nascere in un paese dove si apprendono una lingua affettiva (dialetto) e una lingua universale è una immensa ricchezza, che solo il campanilismo più bieco può voler potare e impoverire. Mi pare poi che genseki spiegasse in modo leggero - nel caso della lingua burocratica e drammatico, nel caso della figlia in ospedale, i possibili problemi di questa scelta campanilista.

Anonimo ha detto...

Certo, dico solo che quando il fascista ti vieta la tua lingua per obbligarti ad usare la sua, appena puoi è abbastanza normale vendicarti. Il ché non significa che la cosa non possa avere risvolti drammatici (nel caso della bambina), come in tutte le vendette. Nel caso della lingua burocratica la cosa fa abbastanza ridere, perché come dicevo, il catalano è stato lingua ufficiale dalla reconquista fino ai tempi di Filippo V (Genseki, controlla meglio le fonti).

Anonimo ha detto...

Per Rosa: In catalano non ne ho idea, è latino. Solo la tipa era catalana. ;)

Pietro Cadelli ha detto...

per varg,

ma insomma di che cosa era lingua ufficiale il catalano, secondo te, di Aragón, o di che cosa? Cosa vuol dire lingua ufficiale della Reconquista?
Non credo che una politica linguistica seria si possa costruire sulla base della vendetta. Siamo seri!
Cordialmente
genseki