lunedì 9 luglio 2007

io sono, tu sei, egli è

Il caposaldo dell'antisionismo militante è la pretesa di definire che cosa sia un ebreo.
Naturalmente il primo passo dell'antisionismo è negare ogni identità ebraica che non sia strettamente legata all'ortodossia religiosa: negare l'esistenza degli ebrei come popolo significa negare la necessità e il senso stesso dello Stato di Israele.

La prima osservazione che mi viene da fare è che l'identità è un fatto soggettivo, e non solo per gli ebrei ma per tutti, ed è dunque paradossale la posizione di chi sostiene la *non esistenza* degli ebrei, o dei palestinesi, o di chiunque altro.

Qualche tempo fa Uriel, sul suo blog, ha scritto un post dova paragonava l'identità palestinese all'identità padana, negandola agli uni e agli altri, in base a considerazioni di tipo "etnico".

Personalmente trovo il concetto stesso di "etnia" sia fallace e impreciso quasi quanto quello di "razza".

L'etnia "italica" esiste ancora meno di quanto esista l'etnia padana. Nulla in comune tra un sardo, un marchigiano, un lombardo, a parte la lingua italiana nata - come lingua di massa - non con Dante bensì con la televisione, e quindi posteriore all'unità d'Italia.

Se dovessimo accordare diritti di nazionalità in base a considerazioni di tipo "etnico", allora - a mio parere - i padani sarebbero titolari di questo diritto assai più degli italiani, ma l'etnia, qualunque cosa significhi, e la nazionalità o l'aspirazione alla sovranità non coincidono necessariamente.

A fare un popolo, secondo me, è - invece, o anche - la sua storia.

I palestinesi iniziano ad avere una identità "palestinese" insieme ad Israele, perché pur non avendo alcuna differenza "etnica" con i loro vicini arabi, la storia li inchioda ad una identità specifica, loro malgrado.

Io in realtà credo che il riconoscimento di questa identità storica, e l'aspirazione "nazionale" dei palestinesi possa essere un motore per la pace assai potente, e che l'enfasi sull'identità araba e mussulmana, al contrario, abbiano allontanato e allontani i palestinesi dalla sovranità e quindi dalla pace, che può fondarsi solo sul riconoscimento di una identità propria e non già sulla negazione di quella altrui.

Quanto agli ebrei - e basta conoscerne qualcuno per saperlo - non sono una etnia.

Israele è - forse - l'esperimento di "melting pot" finora più riuscito al mondo. La rinuncia alla lingua madre degli immigrati non è a favore di una lingua "predominante", come sarebbe stato se si fosse scelto l'yiddish come lingua comune, ma a favore di una lingua antica, che appartiene per definizione a tutti pur non appartenendo storicamente a nessuno. Diversamente dall'inglese, l'ebraico non è la lingua franca dei padroni, dei più forti.

La legge del ritorno di Israele non è fondata su una identità religiosa, ma non è fondata neppure su una identità etnica.

Israele è un paese di profughi, più che di immigrati.

Chiunque abbia letto Jean Amery ha perfettamente chiaro cosa significhi l'essere ebreo come condizione, e ha perfettamente chiaro cosa significhi l'essere ebreo senza consapevolezza di se', e della propria storia.

Purtroppo Jean Amery polverizza, con la sua storia, il mito dell'assimilazione come "cura" dall'ebraismo, mito purtroppo tutt'ora in voga.

Il suo caso dimostra come l'essere ebrei senza averne coscienza possa significare la perdita totale del senso di se', e come conseguenza la morte. E' pericolosissimo, essere ebrei facendo finta di non esserlo.

Un ebreo tedesco assimilato, e senza coscienza di se', usciva dall'inferno senza più identità. Senza "heimat". Non esisteva.

Lui ha rinunciato al suo nome tedesco e ne ha assunto uno francese. E poi è morto suicida.

Alla faccia di chi attribuisce alla sola identità religiosa, razziale, o etnica diritto di cittadinanza. Israele non è riuscito a salvare Jean Amery, ma sono certa che esiste anche per lui.

Io chiedo a chi nega agli ebrei altra identità che quella religiosa, e a chi nega conseguentemente agli ebrei il diritto alla sovranità, dopo 2000 anni di pogrom e ghetti, dopo che l'assimilazione ebraica post napoleonica lungi dal mostrarsi risolutiva ha dovuto fare i conti con una ideologia che non lasciava scampo non a chi "si professava" ebreo, ma a chi semplicemente lo era se pure alla lontana, quali garanzie davano - o diano oggi - "le genti" di protezione o di accettazione agli ebrei.

Perché gli ebrei avrebbero dovuto credere che con il nazismo, anche l'odio per gli ebrei fosse finito?
Con quali basi, secondo quale filosofia si poteva credere che l'odio antiebraico fosse finalmente cessato? Una catarsi post olocausto? Una presa di coscienza dopo 2000 anni?

Con quale diritto e soprattutto con quali argomenti, gli "antisionisti" possono affermare che la scelta degli ebrei di avere una sovranità sia nata in base a ubbie nazionalistiche e di volontà di dominio di altri popoli e non - invece - in base a una semplice spinta di necessità, quella che da sempre costringe masse di persone a fuggire, spostarsi, e combattere ?

38 commenti:

EL ha detto...

Non so rispondere. Stanislaw Lec diceva che la leggenda della ricchezza degli ebrei si fondava sul fatto che erano loro, a pagare per tutti.

Anonimo ha detto...

io non sono un gran esperto di sionismo, identità ebraica (e religiosa o etnica in genere ) nè di antiimperialismo però un'idea me la sono fatta.

te la dico perchè l'idea di "uno qualunque" conta quasi sempre più dell'idea di un colto intellettuale poichè gli unoqualunque sono di più e fanno humus culturale


non ti offendere Rosa ma secondo me sei rimasta intrappolata in sinapsi formate nel 900.

ti faccio un esempio al contrario.

conosci certamente il fatto che alcuni vogliano usare il termine "antiamericanismo" come sinonimo di antiimperialismo . Ora al di là del discorso sulla confusione che vi è tra egemonia all'interno degli imperialismi ed individuare un imperialismo come cifra di tutti gli imperialismi (senza parlare della confusione persino sul concetto d egemonia) ... chi propone il concetto di antiamericanismo in veste di antiUSA non fa altro , a livello letterale, che rimanere intrappolato nelle maglie dell' imperialismo che vuole gli USA coincidenti con le Americhe .

allo stesso modo , tu continui a riproporri una particolarità israeloebraica che non esiste se non nel novero di una declinazione della "particolarità" attribuile a tutte le etnie

nel caso specifico:
l'emigrazione e l'occupazione di terre abitate da altri tramite fondazione di un proprio Stato a sfondo etnico è qualcosa di sbagliato al di là della causa scatenante l'immigrazione. Lo era per le Americhe , lo è stata per Israele.

la struttura "straniera" per esistere ha bisogno costituzionalmente di violenza sugli autoctoni in un momento iniziale finchè non è conquistata la stabilità alla sopravvivenza e l'egemonia per l'etnia fondante (sulle modalità di violenza si può discutere)

Israele non ha diritto di esistere in quanto "rifugio degli ebrei" (andrebbe in tal caso , polverizzato immediatamente come ente statale) ma in quanto frutto di un patto politico di una comunità nazionale (immaginaria e flessibile come tutte le comunità nazionali)

ogni volta che si richiede:

1) sicurezza per gli ebrei per il passato

2) giustificazione al sionismo

si alimenta l'antiebraismo.

Semplicemente perchè

1) è inconcepibile che qualcuno odiernamente debba dimostrare di non essere antisemita . Il rifiuto delle varie forme di razzismo è da considerarsi default in ogni uomo.
Se vi è qualche sospetto sui singoli allora spetta all'accusatore l'onere della prova e non viceversa all'accusato dimostrare di essere a posto.
L'ebreo, lo zingaro e via dicendo sono al sicuro come lo sono le donne in compagnia di un uomo. O vorremo chiedere ad ogni uomo di legarsi le mani perchè qualcuno è un violentatore?

2) la nascita di Israele non è da meno di tutte gli altri Stati: portatrice di violenza e qualsiasi venatura romantica sulla nascita di uno Stato è semplice retorica nazionalista. Si può fare... basta sapere che qualcun altro , si sentirà offeso nel veder esaltata la creazione di uno Stato che ha danneggiato i suoi "avi" (le retoriche nazionalistiche sono quasi sempre incompatibili)

Rosa ha detto...

Non ho capito a cosa rispondi. Io sto dicendo che
A)L'identità è un fatto soggettivo, quindi si può parlare di identità, ma non si può - come fa protocollo - sancire che un identità è giusta e una è sbagliata.
B) Che il concetto di etnia non è più sensato o oggettivo di quello di "razza".
C) Che - qualsiasi cosa sia - l'etnia non è il solo motore identitario, ne' il solo motore per la sovranità nazionale. Anzi, di solito il motore è la storia, e un popolo è definito dalla sua storia.
Queste, sono le cose che ho detto. Non ho capito a cosa controbattevi tu.
Che poi insediarsi in un territorio dove c'è altra gente sia "sbagliato", sì, certo, lo è. Di fatto la storia però non è stata altro che questo incessante spostarsi di popoli, migrare, fondare nuove realtà, scappare da fame, guerre e carestie. Non esiste un legame "naturale" tra sangue e terra, e mi sorprende che proprio tu lo creda. Israele è nata sulle ceneri della seconda guerra mondiale, è la sua storia. E' curioso come tu sia disposto ad accettare un criterio etico e rinunciare ad una valutazione più neutrale, e definire "sbagliato" lo Stato di Israele, ma non accetti che lo utilizzi io, se parlo di necessità, e portando qualche prova.
Inoltre io credo che la necessità sotto il profilo etico sia una ragione. I palestinesi hanno più "ragione" dei padani a volere una nazione, e la loro ragione sta sostanzialmente nel bisogno. Credo che esista il diritto all'autodifesa e alla sopravvivenza, e che la nascita dello stato di Israele sia avvenuta per quello. Tutto sto discorso che il razzismo non può esistere io non l'ho capito. L'antisemitismo è oppure no un fenomeno millenario, sanguinoso, e ricorrente? Se si, non ti pare che liquidare l'argomento con "il razzismo non può esistere perchè è male che esista" sia lievemente riduttivo, rispetto all'entità del problema?

Anonimo ha detto...

suvvia, dove avrei detto che esiste legame tra sangue e terra? che poi io accetti un criterio etico e tu un criterio neutrale(?) avrei i miei dubbi


sui punti citati da te : A), B) , C) sono sostanzialmente d'accordo ma non sono d'accordo che la mia risposta sia tanto OT anche a giudicare da quel che (ri)dici dopo quei punti



la nascita dello Stato di Israele quale "necessità" storica per gli ebrei è da discutere. Secondo me non vi era bisogno(ma questa è una differenza di opinione soggettiva). La necessità storica di un gruppo umano, quando implica la nascita di uno Stato come "propria emanazione identitaria" in territorio già abitato da altri che NON esprimono quello stesso Stato, rappresenta una violenza sugli autoctoni che nessuna ragione dei nuovi arrivati può giustificare (questo è oggettivo )

è come se mi dicessi: gli immigrati africani hanno diritto di venire in Europa con l'idea di creare uno Stato nel continente europeo essendo giustificati del neocolonialismo europeo in Africa e per lo più possono farlo ribadendo l'africanità(??!!) di tale Stato .

è una richiesta che non sta in piedi.

Altra cosa è la presenza di generazioni di immigrati in un dato territorio che potrebbero richiedere , se maggioranza sufficiente, un proprio Stato.

non in quanto legati dal sangue degli avi al territorio ma in quanto essi sono stessi "sono" il territorio

Lo stesso vale per Israele: Israele non aveva diritto ad essere fondato perchè non esistevano gli israeliani in territorio di Israele, Israele ha diritto a restare in vita perchè esistono gli Israeliani in territorio di Israele.



di nuovo ripeto: il rifiuto dell'antisemitismo è un concetto base della nostra società. Una persona , uno Stato è NON razzista (NON antisemita) finchè non viene provato il contrario.

Richieste di analisi del sangue in tal senso , non sono solo contrarie ad ogni logica ma anche controproducente per la minoranza che le richiede.

per cui NON è valida l'idea del dobbiamo avere (oggi) uno Stato che ci protegga dalle violenze (del passato)

lo stesso antisemitismo non è altro che una variante del complesso fenomeno del "rifiuto del diverso" presente fin dalla notte dei tempi in ogni comunità umana. attribuire ad esso , in senso positivo o negativo, LA particolarità è sbagliato storicamente e soprattutto controproducente politicamente

è ora di superare una visione novecentesca delle cose che se poteva essere compresa nei decenni del 900 è del tutto fuoriluogo oggi


IMPORTANTE:
sottolineo ad uso e consumo degli antimondialisti lurkanti (di solito arraffoni su tutto) che questo mio modo di concepire le cose ha come conseguenza il mantenimento in vita di Israele finchè gli israeliani vorranno e il non mettere becco da parte di individui "extraterritoriali" in una questione degli abitatori di quella terra (palestinesi ed israeliani) nè chiedendo un solo Stato nè chiedendone due.. entrambe le richieste, da parte di stranieri al territorio, sarebbero IMPERIALISMO.


ciao

p.s.
e non ti incazzare subito Rosa :-)

Rosa ha detto...

Scusa, tu dici "Israele ha il diritto di esistere ma non aveva il diritto di nascere."
In pratica mentre mi esorti a restare al presente, concedi a te stesso il diritto di giudicare il passato, anzi, di stigmatizzarlo facendolo rientrare in categorie etiche immutabili. Il passato - per te - è *sbagliato*. Il passato ha creato delle ferite così come ha avuto le sue ragioni, non rientra nelle categoria del bene o del male assoluto, ma nelle categorie dei fenomeni storici che si sviluppano su una rete di concause paurosamente complessa. Tu mi attribuisci il "peccato" di ragionarci sopra, non solo in termini di colpa. Se ci si ragiona, ci si deve ragionare con tutto il *pacco* di informazioni: la seconda guerra mondiale, le migrazioni ebraiche, i residui coloniali, la permanenza dell'antisemitismo in Europa...tu zacchete, liquidi *tutto* con un "è sbagliato". Le vicende mediorientali non rientrano in categorie "mistiche", non sono enti morali, emanazioni di assoluti, sono vicende storiche e come tali vanno valutate. La visione manichea, che liquida il tutto con "è sbagliato" è terribile, perché mistica e non razionale. Pensavo che avessi una visione un po' più articolata, della faccenda. Tutto qua.

Anonimo ha detto...

beh che dirti O(u)M ;-)


.... se pensi che abbia una visione mainichea che poggia sul mistico e non sul razionale , non vi è molto da discutere :-p

io nel ritenere che i diritti di qualcuno NON possano essere violentati da qualcun altro, adducendo la sofferenza come motivazione valida, non lo ritengo nè irrazionale nè misticheggiante ma semplice pragmatismo umano che non fa alcun doppiopesismo .

Se poi si vuole discutere del perchè gli ebrei emigrarono e le differenze con altre emigrazioni (quelle coloniali italiane ad esempio o quelle conseguenti alla carestia della patate) allora è altro discorso ma non ha nulla a che spartire con l'acquisire il diritto su territori altrui "grazie" a sofferenza patita (diritto che non esiste)

ripeto poi un concetto che , mi pare, ti dissi anche sul discorso di tuo padre in occasione del 25 aprile: è profondamente inopportuno creare il mito di una diversità ebraica, sia nel bene che nel male, poichè questa diversità perpetra il meme dell' "ebreo diverso" e alle nuove generazioni , che nulla sentono di dover espiare per i crimini della seconda guerra mondiale (e secondo me sentono bene), il rifarsi all'antisemitismo come motivo valido della fondazione di Israele e di alcune sue "rigità etniche" ... crea più reazione antiisraeliana che convinzione a sostegno di Israele.
Che piaccia o meno, per il giudizio "sentito" sulla seconda guerra mondiale non vi è più spazio ora che non vi è memoria storica "vissuta", vi è solo spazio per un razionale giudizio storico che usi gli stessi parametri che si usano per tutte le altre vicende umane... non sostenere questo nuovo modo di affrontare la tematica lascia un'ampia brecci agli antisemiti mascherati da antisionisti

lo dico a te come lo dissi ad una altra persona che parlava di far rientrare i crimini del nazifasicsmo come ennesimo crimine dell'umanità e quindi di toglierlo come "fondante" la nostra società: i crimini del nazifascismo sono uno dei tanti crimini ma come al mondo esistono tante madri ed una sola è la nostra allo stesso modo una sola Resistenza è fondante per noi(europei). Si tratta quindi non di relativizzare ma di pluralizzare , non di estirpare la "storia fondante" ma di considerarla come "la nostra storia fondante"

vabbè ora sto andando OT....

ognuno faccia come creda.
Per quanto riguarda me, non è la prima volta che mi capita di sentire il "quoque tu" e quando arriva è meglio non insistere troppo.

quindi.... salutoni con immutata stima (tanto sono mistico e questa tua delusione nei miei confronti non mi tange ;-) )

Anonimo ha detto...

E' un classico errore da anni 70: ogni cosa abbia un nome esiste. Se un gruppo di persone sostiene di essere, che so io, "vinardinesco", ecco che esistono i vinardineschi, esiste una storia vinardinesca, una cultura vinardinesca , una letteratura vinardinesca , eccetera.

Una delle caratteristiche che viene dimenticata del concetto di "identita'" e' che per avere un'identita' devi essere prima di tutto diverso dagli altri.

Se la tua storia e' quella di un popolo giordano, se hai risentito e gioito degli avvenimenti della storia giordana e non di altri, se la leggi libri in giordano, parli la stessa lingua di ogni giordano,ascolti la stessa musica dei giordani, professi la stessa religione dei giordani, definirti "palestinese" e non "giordano" e' un semplice falso.

Possiamo, come si fa in magia, pensare che una volta definito il termine esiste la cosa. Certo che possiamo. A patto di specificare poi che i palestinesi esistono quanto le fate, gli elfi, gli angeli, i giganti, i centauri e le sirene.

Non devo citare Paul Cohen(1) per dimostrarlo, e' qualcosa di evidente: se vuoi indicare qualcosa devi distinguerlo dalle altre. E per distinguerlo, una differenza ci deve essere. Ma alcuni palestinesi sono identici ai giordani, altri sono identici ai libanesi, altri agli egiziani, come fai a dire che esistano i palestinesi?

Io posso distinguere un ebreo da quasi tutti gli emiliani, per dire, alla prima fetta di prosciutto di parma. O semplicemente notando che ha una religione diversa dagli altri.

Esistono per caso una religione palestinese, una letteratura palestinese, una musica palestinese, una storia palestinese, una lingua palestinese, tale che sia possibile distinguerle da quelle di un popolo vicino?

Uriel

(1) NON e' un rabbino, nonostante il cognome celebre. E' una persona che si e' occupata autorevolmente di una cosa detta "Assioma di Scelta".

Anonimo ha detto...

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Io posso distinguere un emiliano ebreo da quasi tutti gli emiliani, per dire, alla prima fetta di prosciutto di parma. O semplicemente notando che ha una religione diversa dagli altri.
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Errata corrige. "Emiliano ebreo".

Uriel

Rosa ha detto...

x uriel: una persona nata a Nablus non ha la stessa storia di una persona nata a Petra, e la differenza che si genera dall'essere nato a Nablus prescinde da questioni etniche, dalla lingua o dalle canzoni.
L'identità - comunque - resta un fatto soggettivo, tu credi di riconoscere un ebreo osservando quello che mangia, un altro crede di riconoscere un ebreo osservando la forma del naso, un altro sentendolo parlare ebraico, eppure queste tre cose non sono condizioni ne' necessarie ne' sufficienti all'essere ebrei.
x filomeno:
1) Sai che non capisco? Il sionismo, e lo stato di Israele, sono nati per quello! E' soltanto un dato di fatto, e non capisco per quale diavolo di motivo bisognerebbe tacerlo! Non è nato perchè c'era bisogno di una pista da ballo per la hora, o perchè si volesse tormentare i palestinesi, o perchè è scritto "l'anno prossimo a Gerusalemme". Potrà essere una "non ragione" come dici tu, ma è la sola vera ragione per cui lo stato di Israele è nato, che ti piaccia o meno, cazzo! E' assurdo, doverla "tacere" per non svegliare gli antisemiti, ti rendi conto di quello che dici?
Il "meme" dell'antisemitismo è resistentissimo, ma è un virus che affligge gli antisemiti, mica gli ebrei. La tua teoria non regge alla dura prova della realtà: è mai servito a qualcosa "fingere" che una cosa non esista, per farla cessare di esistere?
Quanto alle nuove generazioni, e al discorso sulla memoria, non si tratta di "far espiare" colpe che mai hanno commesso. Le colpe sono sempre individuali e mai collettive. Si tratta casomai di capire come può essere avvenuto crimine di massa ideologico di quella portata. Questo, è il senso della memoria, e non una qualche "giustificazione" allo stato di Israele. Ma non significa che si debba far cadere nell'oblio le ragioni per cui è nato lo stato ebraico, è chi ne vuole la fine che ricorre costantemente all'inizio come ad una radice marcia e da estirpare, perché si dovrebbe tacere, e avere vergogna, o inventare delle motivazioni fittizie? Herzl non aveva NESSUNA altra motivazione, e il nazismo era al di là da venire, e secondo te io dovrei inventarmi che Israele è stata fatta per cantare Avanaghila tutti in coro, se no poi gli antisemiti si risentono?

ipazia.dioniso at gmail.com ha detto...

filomeno ha detto...

io non sono un gran esperto di sionismo, identità ebraica (e religiosa o etnica in genere ) nè di antiimperialismo però un'idea me la sono fatta


che dire? precisazione inutile. :-)

Anonimo ha detto...

@ipazia: :-p

:-)

Anonimo ha detto...

@rosalux: ancora una volta il pensiero anni 70: tutto e' soggettivo, ovvero l'universo e' come appare dal mio punto di vista.

Quando vai in Germania e scopri che sei italiano, e non potrai MAI liberarti di questo fatto perche' non e' possibile e gli altri ti riconosceranno SEMPRE come italiano, o almeno come non-tedesco, allora cambi idea.

Dimmi, come mai gli altri ti riconoscono come straniero, quando vai in giro per il mondo? Perche' a Dublino non riuscivo a spacciarmi per irlandese neanche quando tacevo?

Sono seghe al cervello che la gente si fa. L'identita' implica differenza, oppure non e' identita'. Ed e' per forza di cose un fattore oggettivabile.

So benissimo che tu potrai definire un ebreo in qualsiasi modo contraddica il tuo interlocutore. Il guaio e' che se qualcun altro ti identifica come tale, non puoi sfuggire.

Tu dici che gli ebrei non sono riconoscibili. Perche' i nazisti non sbagliano mai quando picchiano un ebreo?

Se le identita' fossero soggettive, chiunque avrebbe a disposizione un interruttore per spegnere la xenofobia: basterebbe pensare "da oggi sono come voi".

Prova ad essere senegalese, in puglia, e pensare "da oggi sono italiano". Vedrai che poi la smetti di pensare e torni a raccogliere pomodori.

Sorry, le identita' sono cose sin troppo oggettivabili, e la storia delle persecuzioni dimostra chiaramente che quando qualcuno ti riconosce come il negro di turno, hai poco da soggettivare, sei il negro/ebreo/italiano di turno , e non scappi.

A Duesseldorf c'e' una discoteca molto bella. Si chiama "Bacio". Il nome e' italiano. Ma se provi ad entrarci e non sei accompagnato da tedeschi, c'e' sempre un "dress problem".

Prova a spiegargli che l'identita' e' soggettiva e stanno scrutando la tua psiche.....

Uriel

rosalucsemburg ha detto...

x uriel:
i miei nonni sono stati catturati perché denunciati dai vicini, come spesso succedeva agli ebrei. E' vero che l'identità è basata sulla differenza, ma non è vero che tutte le differenze siano necessariamente visibili, e soprattutto non è vero che chiunque abbia i parametri giusti per vederle, o che i parametri siano sempre definibili e quantificabili. In questo senso l'identità ebraica fa paura proprio perché è sfuggente, perchè raccoglie insiemi diversi di cui in realtà nessuno è condizione necessaria. L'ortodosso ha un criterio, il riformato un altro, Israele ne ha un terzo, c'è chi è ebreo per scelta e chi per condizione, e non ci sono criteri etnici ne' religiosi ne' morali per definire un ebreo. Un "buon ebreo" forse, ma non un ebreo.
E'una cosa che fa incazzare da morire, ma è così.
E fa incazzare secondo me soprattutto perché ci piace illuderci che l'identità sia una cosa concreta, solida, definita su cui contare, ma non lo è: per nessuno. E' curioso, ma quasi sempre le persone ossessionate dagli gli ebrei sono persone che si sentono sradicate, che non sanno chi sono.

Banalmente: se tu italiano vai in germania, quanto tempo ci metti a diventare tedesco? E nel periodo intermedio, cosa sei? E chi decide quand'è che finalmente sei tedesco? Tu o qualcun altro? Se tu vai in Germania a tre anni, e a dieci sei perfettamente uguale ai tuoi compagni di scuola, pensi che sia ragionevole che qualcuno stabilisca che non sei tedesco perchè hai i lineamenti mediterranei? O ha più senso che sia tu a stabilire "chi sei". E non pensi che capiti, a chi è in un territorio di confine, di sentirsi tedesco tra gli italiani e italiano tra i tedeschi? Chi è questa persona? Puoi dirlo tu o è lui a definire - volta per volta - la sua identità?

A proposito, ma tu dai ragione alla Gardini, quando starnazza che Luxuria deve assolutamente usare il cesso degli uomini, perchè - qualsiasi cosa si senta - è un uomo?

Gopk ha detto...

Leggo raramente i blog, ma mai ho trovato questioni così difficili e al contempo affrontate con tale impegno. Lascio un commento. Le etnie sono comunità immaginate, come le nazioni, come ogni insieme di categorie che compatto definisce l'identità di un gruppo. Questo non è pensiero anni '70, né puro soggettivismo. Io inserirei un'altra dimensione al dibattito, quella della politica dell'identità, che riesce a spiegare un po' meglio le forme e i contenuti (i significati) che hanno le comunità immaginate. E ci sono episodi nella storia che riescono a inserire altri significati nel box dell'identità, che contribuiscono a modificare i precedenti, in breve che hanno un'elevata influenza sul continuo processo di definizione delle identità collettive. La violenza è uno degli elementi più efficaci per tale ridefinizione, e se consideriamo lo stato come l'attore che detiene il monopolio della violenza legittima (Weber) allora si comprende la portata della politica dell'identità a partire dalla formazione dello stato-nazione. Quella israeliana è un'identità inventata dallo stato di israele.

Uriel:" le identità sono oggettivabili". E' proprio questo il punto, dal momento che non sono oggettive, ma rese omogeneamente inter-soggettive (da chi? come? perchè?...)La letteratura palestinese non esiste? Ma esistono antologie di letteratura palestinese, così la musica, così la cucina. Che non esista una religione palestinese non significa che non possa esistere un'identità (o più identità) palestinese/i. E che questa/e identità sia costruita da elites fa del "nazionalismo palestinese" un fenomeno con delle conseguenze. Forse non spiega molto, ma aggiunge qualcosa alla questione.
:)

Anonimo ha detto...

molto interessante questo post, davvero, se me lo permetti segnalo il link sul nostro forum dove c'è una discussione e potrebbe essere di aiuto questo tuo articolo. Ho visto che lo hai lincato anche sui commenti ma ormai sono talmente tanti che non ci si fa caso.

Anonimo ha detto...

@Banalmente: se sei italiano e vai a vivere in germania, rimani italiano e basta. Non te ne liberi piu'. Il posto ove lavoravo aveva un LDAP con quasi tredicimila nomi. (una rubrica di outlook, per intenderci). I nomi italiani che ci leggevo, pero', non erano mai italiani di seconda o terza generazione: erano consulenti italianissimi , come me, che nel week end tornavano in Italia.

Sono andato a colonia, per vedere la cattedrale gotica e il museo romano, e ci sono centinaia di migliaia di italiani. Vivono nei quartieri da immigrati, dopo 2 generazioni. Insieme ai turchi e ai libanesi. I loro padri avevano il furgoncino Eis & Sahne, loro hanno una gelateria , punto. I loro padri hanno aperto una pizzeria, loro hanno due pizzerie. Giri per le strade e guardi le targhe dei "Prasse" , medici e professionisti. Non ci vedi nomi italiani.

Sorry, in Germania sei ancora italiano dopo 3 generazioni. Tra parentesi, "blut und ehre": tu la cittadinanza tedesca non ce l'avrai MAI.

Certo, uno stipendio da donna delle pulizie in NRW e' di 1900 euri/mese, quindi puoi anche tornare in italia a fare lo sborone con la macchina grande. Ma li' sei solo una merda e se la notte passeggi per un quartiere figo come Niederkassel ti ferma la polizia, in tantissimi locali c'e' un "dress problem" in qualsiasi modo tu sia vestito, e per far capire ai kruki che sai lavorare ci metti, come me, due mesi almeno a fare il doppio di loro in meta' del tempo.

Ma il problema non e' questo: il problema e' che l'identita' non e' soggettiva, punto. Quindi il tuo discorso non sta in piedi.

Non puoi dire che l'ebreo sia indistinguibile da chiunque altro: i nazi ci riescono benissimo, a distinguere.

@Gopg: dopo la nascita della lega, esiste una letteratura padana, una banca padana, una poesia padana, eccetera. Ma il fatto che un palestinese scriva un libro parlando in giordano , con uno stile letterario perfettamente giordano non ne fa un libro palestinese. Perche' ci sia identita' occorre differenza. Mi spieghi in cosa distinguerei la letteratura palestinese da quella giordana, o da quella libanese, o da quella egiziana? In nulla, se non nel fatto che dopo la nascita dell' ANP allora qualcuno si fa chiamare palestinese. Del resto, dopo la nascita della Lega, c'e' anche una letteratura padana. Le costruzioni di partito non sono sufficenti a creare un'identita'. Anche se negli anni 70, e per tutti gli scemi di guerra di quegli anni, l'affermazione suona blasfema.

Ma la politica non puo' dirti chi sei.

Uriel

rosalucsemburg ha detto...

x gopk: paradossalmente credo che il nazionalismo palestinese, una identità nazionale decisa a conquistare una sovranità, anche con la violenza, sarebbe una salvezza. Purtroppo il punto è che non sembra essere la rivendicazione della propria sovranità, ma la negazione di quella altrui, l'interesse che hanno espresso i palestinesi votando Hamas.
x uriel: se in Germania è come dici tu, così non è - per esempio - in Italia. Quanto ci mette una quindicenne norvegese a diventare italiana? E che cosa è nel frattempo? Chi può decide cosa è, se non lei? Il problema è proprio che i tedeschi "pretendono" di avere i parametri, fondati sull'aspetto fisico, o sarcazzo, e non che i loro parametri siano corretti o assoluti di per se', come tu sembri voler dire. Per gli ebrei, bastava il cognome, o un parente ebreo, nella germania nazista. Erano parametri sufficienti a definire "ebreo", non c'era alcun bisogno di vedere se gli ebrei mangiassero prosciutto o si mettessero la papalina, eh.
Ah, non mi hai risposto su Luxuria.
x elisa: certo che puoi postare il link a questo post: è pubblico

Anonimo ha detto...

@rosa: luxuria deve attenersi alle leggi dello stato, come chiunque altro. Da illuminista convinto, io -credo- di rispettarti quando applico le leggi ed i codici su di te come su chiunque altro. Se Luxuria e' , per la legge, un uomo, deve andare nei bagni degli uomini. Sia chiaro, pero', che non lo dico -per le stesse ragioni della Gardini- : la mia considerazione e' semplicemente che il rispetto per le minoranze si realizzi quando una legge viene applicata su tutti e allo stesso modo su tutti. Se Luxuria fosse operato, cioe' fosse una donna a livello legale (e ti faccio presente che in Italia oggi e' gratuito sul piano finanziario, se la disforia di genere e' documentata scientificamente), avrebbe altrettanto diritto/dovere di usare il bagno delle donne.

Temo che tu abbia preso l'esempio sbagliato su Luxuria. Per via di un percorso di vita ho potuto conoscere persone che hanno intrapreso il percorso del cambiamento di sesso. Esso implica una sofferenza e una durezza che probabilmente Luxuria non ha mai conosciuto, tantevvero che chi lo fa -davvero- si fa seguire da uno psichiatra: gli effetti degli ormoni sulla psiche sono -pesanti- e perdere alcuni attributi maschili -sebbene detestati- ha effetti pesanti sulla psiche. Trovarsi con un corpo -debole- per esempio. Quindi, Luxuria (che viene dalla definizione paraculturale "transgender" , cosa molto diversa dalla disforia di genere vera e propria) e' l'esempio sbagliato , se vuoi affrontare il problema seriamente.

2)La svedese che viene in Italia rimarra' svedese fino a quando l'italiano che la guarda senza sapere da dove viene pensera' che sia svedese. Perche' questo implica una realta' oggettivabile. NON esistono identita' SOGGETTIVE. Il solipsismo e' morto con Cartesio. Del resto, non ho alcuna prova del fatto che i palestinesi si sentano palestinesi, ne' che tu ti senta ebrea. Certo, tu dici di sentirti ebrea, ma chi mi dice che tu non stia mentendo?


Uriel

marmulak ha detto...
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marmulak ha detto...

Rosalux propone (almeno) due versioni principali dell’identità: 1) una versione “soggettiva” e 2) una versione oggettiva (lei propone, a differenzia di uriel, un’oggettività frutto di dinamiche “storiche” e non “etniche”). La prima versione mi sembra poco soddisfacente per gran parte dei fenomeni sociali di cui si parla qui. La seconda mi sembra più persuasiva, anche se ho qualche riserva.

In generale mi sembra comunque che nella discussione si intreccino in modo confuso diversi sensi di “identità” e forse è il caso di distinguere (oltre ai tre sensi di identità “oggettiva” : 2.1 “etnica”, 2.2 “storica” e 2.3 “ideologico-religiosa”), almeno due sensi di identità “soggettiva”: 1.1 soggettiva per chi attribuisce a se stesso un’identità e 1.2 “soggettiva” nel senso che sta nella testa di qualcuno che attribuisce a un altro una particolare identità.

Esempio di 1.1: la ragazzina scandinava in Italia che, poniamo, si sente soggettivamente italiana dopo 8 mesi a Cuneo. Esempio di 1.2: le persone che la ragazzina incontra in birreria, al parco o a scuola che le attribuiscono (soggettivamente) diverse identità (“straniera”, “una-che-parla-male-italiano”, “tedesca”, “italiana”, “ucraina” etc.).

Nelle sue riflessioni Rosalux sembra oscillare tra 2.2 e 1.1. E occasionalmente perfino 1.2 (rispondendo a Uriel: “L'identità - comunque - resta un fatto soggettivo, tu credi di riconoscere un ebreo osservando quello che mangia, un altro crede…”)
Ma tornando a 1.1, Rosalux chiede: “Chi può decide cosa è, se non lei?”

Di fatto, purtroppo, già come singoli, tutti decidiamo costantemente che cosa è una persona senza sentire il suo parere. Dal punto di vista sociale questo fenomeno è ancora più vistoso. Per esempio, una persona che parla con forte accento dialettale viene socialmente stigmatizzata come “rozza” (“burina” etc.). “Chi può decide cosa è, se non lei?”, chiede Rosa. A parte le difficoltà e le oscillazioni dell’autoidentificazione (che da una parte sono frutto di un disperato bisogno dello specchio esterno, sociale, per permettere l’autopercezione, e dall’altra producono quelle figure sociali che la letteratura prende spietatamente in giro da secoli: Il Borghese Gentiluomo, La Parvenue, etc.), il punto fondamentale è che la tesi soggettivista 1.1 spiega solo una piccolissima fetta delle interazioni sociali che comprendono l’(attribuzione di) identità. Lei (la ragazzina) non vive in un vuoto pneumatico, ma in un contesto sociale.

Sempre utilizzando il concetto soggettivo 1.1, Rosa ribadisce “E chi decide quand'è che finalmente sei tedesco? Tu o qualcun altro? […] O ha più senso che sia tu a stabilire "chi sei".

I limiti del concetto soggettivistico 1.1 qui appaiono ancora più vistosamente. In casi come questi non si tratta per nulla di stabilire cosa abbia più senso, ma come di fatto funzionino dei meccanismi sociali, quelli dell’identità e della sua attribuzione. Tu puoi sentirti soggettivamente perfettamente tedesco (è successo così a molti ebrei tedeschi durante gli anni trenta) e vedere con costernazione che improvvisamente gli altri disconoscono questa tua germanicità. Tu puoi considerarti perfettamente comunista (è successo così a molti comunisti russi durante gli anni trenta) e vedere che improvvisamente gli altri disconoscono questa tua identità.
[Sul ruolo degli altri nella costruzione della tua identità (nell’attribuzione della tua identità sociale) si può leggere per esempio Andorra di Max Frisch, anche se letterariamente non è esattamente un capolavoro :)].

In sintesi, mi sembra parzialmente condivisibile la lapidaria affermazione di uriel: “l'identità non e' soggettiva [nel senso 1.1], punto. Quindi il tuo discorso non sta in piedi.”

Parzialmente, perché il discorso di Rosalux è più complesso. Rimangono le identità 1.2 e soprattutto 2.2, che danno forza al suo discorso.
Infatti l’alternativa “etnica” di uriel (2.1) in realtà è essa stessa deboluccia.

Uriel dice: “Una delle caratteristiche che viene dimenticata del concetto di "identità" e' che per avere un'identità devi essere prima di tutto diverso dagli altri. Se la tua storia e' quella di un popolo giordano, se hai risentito e gioito degli avvenimenti della storia giordana e non di altri, se la leggi libri in giordano, parli la stessa lingua di ogni giordano,ascolti la stessa musica dei giordani, professi la stessa religione dei giordani, definirti "palestinese" e non "giordano" e' un semplice falso. […] [S]e vuoi indicare qualcosa devi distinguerlo dalle altre. E per distinguerlo, una differenza ci deve essere.”

Come ha già osservato Rosalux (utilizzando qui la versione storico-oggettiva 2.2 di “identità”): “una persona nata a Nablus non ha la stessa storia di una persona nata a Petra, e la differenza che si genera dall'essere nato a Nablus prescinde da questioni etniche, dalla lingua o dalle canzoni.”

E infatti, si potrebbe rispondere a uriel che quello che differenzia un “giordano” che si chiama “palestinese” da un “giordano” senza altre qualificazioni è il fatto che la sua storia familiare del secondo non comprende l’espulsione/fuga dal proprio villaggio, l’occupazione del proprio territorio, la guerra, le restrizioni, l’infanzia e l’adolescenza (o tutta la vita) passata in un campo profughi, e poi tutti i miti, le rivendicazioni, i rancori, le speranze che una situazione così diversa produce tra i “giordani palestinesi” e li differenzia radicalmente dai “giordani tout court” (qui ci sarebbe da aprire comunque una parentesi critica su queste definizioni nazionali, ma non è il punto di cui volevo parlare).
Una impostazione interessante mi sembra quella di gopk: "’ le identità sono oggettivabili’. E' proprio questo il punto, dal momento che non sono oggettive, ma rese omogeneamente inter-soggettive”. Sono rese tali da meccanismi storico-oggettivi (2.2) e sociali (1.2).
Il problema dell’identità ebraica (in Europa centrale e orientale) non era affatto in primo luogo “soggettivo 1.1”, ma eventualmente “soggettivo 1.2” (Europa centrale) e anche oggettivo 2.2 (Europa orientale). Si trattava in gran parte di un’attribuzione, ascrizione di un’identità (connotata in termini spesso ferocemente negativi) da parte di altri, anche a chi non aveva alcuna volontà soggettiva di far propria quell’identità (questo vale in particolare per la Germania, ma anche per la borghesia ebraica polacca o quella ungherese etc. Piuttosto diverso è il caso delle masse proletarie o sottoproletarie degli “ebrei orientali”, su cui ha scritto pagine molto belle Joseph Roth).

Mi scuso per il commento un po’ lunghetto, e per l’uso dei numerini, cha a qualcuno potranno risultare irritanti. Io stesso non li amo molto, davvero …. :)

(Ho pasticciato un po' con il commento precedente, così l'ho eliminato e l'ho sostituito con questo. Sorry)

(kommissarlohmann.splinder.com)

rosalucsemburg ha detto...

x marmulak: se l'identità fosse oggettiva, allora (a titolo di esempio, eh?) gli ebrei non sarebbero quello che sono soggettivamente, ma come gli altri li vedono. Questa è la tragica condizione del self hater, che si ritrova a guardare se' stesso con gli occhi di un altro. L'identità altrui è oggettiva, o almeno così ci pare, l'identità propria, però, è soggettiva. Altrimenti io dovrei osservarmi con gli occhi di Uriel, e mentre mangio mortadella riflettendo sulla improbabilità dell'esistenza di Dio dovrei decidere che non sono quello che credo di essere ma quello che Uriel pensa che io sia. Un po' spiazzante, non ti pare?

Anonimo ha detto...

@Marmulak: l'esistenza del palestinese giordano e' fatta di espropri e venire cacciati tale e quale , se non peggio, a quella dei giordani in israele.

E' chiaro che se vivi in via piella 2 avrai la storia di uno che vive in via piella 2. Ma questo non toglie che sei italiano.

La cosiddetta "identita' palestinese" non esiste, o esiste quando quella "padana": arriva un tizio, prende un branco di bifolchi e dice "voi siete padani. Quelli la' sono venuti da fuori e bisogna mandarli via perche' questa terra e' nostra e ci stanno prendendo tutto".

E allora tutti iniziano a parlare di questa padania o di questa palestina, a dire di essere palestinesi o padani, eccetera.

Ma i palestinesi hanno una ragione in piu' per dirsi palestinesi. Perche' se un padano non e' padano, allora e' italiano. Se un palestinese non fosse un palestinese, non sarebbe proprio niente.

Fortunatamente l'interesse verso il petrolio si affievolira' e si rivolgera' verso altre fonti come l'etilene. Presto quella zona del mondo non interessera' nessuno. I fricchettoni radicalchic parleranno di qualche assurdo popolo del cazzo in sudamerica, dove c'e' bioetanolo e quindi business, e i palestinesi verranno sterminati senza che nessuno se li ricordi piu'.

Il giorno in cui farai il pieno di alcool nella macchina , anziche' di benzina, di tutta quella gente in medio oriente non te ne fottera' piu' nulla. E i palestinesi saranno gente tipo i padani di pontida.

Magari pero' sarai' li a batterti contro le ingiustizie subite da qualche cazzo di popolo assurdo e inesistente di gente che ha deciso di chiamarsi cosi' perche' tu ti batta per lui.

Perche' c'e' da dire una cosa: se vivi in medio oriente e non sei ebreo, e non sei neanche palestinese, non ti si incula nessuno. Tantovale essere palestinesi. Almeno qualcuno ti caga.

Uriel

marmulak ha detto...

x Rosalux

se l'identità fosse oggettiva,

Io non sostengo affatto che sia solo“oggettiva”. Sottolineavo molto anche l’aspetto soggettivo “esterno” 1.2 e l’impostazione di gopk. Tra parentesi, quella dell’identità oggettiva è anche una delle tue tesi (che ho identificato con 2.2). Il fatto è però che tu sembri affezionata anche alla versione “soggettiva” dell’identità (in particolare nella forma 1.1). E oscilli tra le due (o tre) versioni.

In generale questa oscillazione non è ingiustificata. Perché dovrebbe esserci un solo fattore che influenza quell’insieme eterogeneo di fenomeni che indichiamo con il concetto di “identità? Meno accettabile mi sembra il tuo tentativo ora di appiattire tutto il problema su una sola dimensione.

Direi però che, se ti interessano in particolare i fenomeni storici-sociali (e non le singole esperienze biografiche), i fattori oggettivi 2.2 o soggettivi 1.2 sono particolarmente importanti. Il gioco dell’”identità” è soprattutto un gioco di società (un gioco spesso crudele, e idiota).

allora (a titolo di esempio, eh?) gli ebrei non sarebbero quello che sono soggettivamente, ma come gli altri li vedono. Questa è la tragica condizione del self hater, che si ritrova a guardare se' stesso con gli occhi di un altro.

Che c’entra? Il Selbsthass deriva dall’assumere il giudizio negativo degli altri e farlo proprio. La condizione del guardare se stessi attraverso gli occhi degli altri è invece assolutamente generale, e riguarda tutti (non solo chi sviluppa un odio per sé).
E purtroppo, per moltissime persone in Europa durante la guerra, la propria percezione soggettiva 1.1 (di essere tedeschi, polacchi, ungheresi, olandesi, italiani etc.) non contava nulla, quando strutture di potere decidevano che loro erano “ebrei”.

L'identità altrui è oggettiva, o almeno così ci pare, l'identità propria, però, è soggettiva. Altrimenti io dovrei osservarmi con gli occhi di Uriel, e mentre mangio mortadella riflettendo sulla improbabilità dell'esistenza di Dio dovrei decidere che non sono quello che credo di essere ma quello che Uriel pensa che io sia. Un po' spiazzante, non ti pare?

Beh, a volte può essere utile mettere alla prova la propria autopercezione, e ci si può anche accorgere che l’identità che ci si era attribuita soggettivamente (1.1), magari per anni, non aveva fondamento. Gli esseri umani credono soggettivamente (1.1) di essere un sacco di cose, che poi spesso si dimostrano infondate. Quindi lo sguardo di Uriel potrebbe anche essere produttivamente “spiazzante” :). Anche se a mio avviso il movimento di straniamento più interessante sarebbe quello che mette in crisi nelle sue fondamenta quell’orribile gioco di società che chiamiamo “identità”.

X Uriel

l'esistenza del palestinese giordano e' fatta di espropri e venire cacciati tale e quale , se non peggio, a quella dei giordani in israele.

Non capisco cosa significhi questa frase.

[…] La cosiddetta "identita' palestinese" non esiste, o esiste quando quella "padana": arriva un tizio, prende un branco di bifolchi e dice "voi siete padani. Quelli la' sono venuti da fuori e bisogna mandarli via perche' questa terra e' nostra e ci stanno prendendo tutto".

A proposito della Palestina tu sembri parlare solo (e in termini molto semplificatori) del 1947/1948. Io parlo invece di tutto quello che è venuto dopo il 1948. Ti riporto quello che ho scritto (con qualche correzione, per rendere più chiara la mia tesi, che in questo caso è comunque la stessa di Rosalux): “quello che differenzia un “giordano” che oggi si chiama “palestinese” da un “giordano” senza altre qualificazioni è il fatto che la storia familiare o personale del secondo non comprende l’espulsione/fuga dal proprio villaggio, l’occupazione del proprio territorio, la guerra, le restrizioni, l’infanzia e l’adolescenza (o tutta la vita) passata in un campo profughi, e poi tutti i miti, le rivendicazioni, i rancori, le speranze, le illusioni, i problemi che una situazione così diversa produce tra i “giordani palestinesi” e li differenzia radicalmente dai ‘giordani tout court’, che non vivono in campi profughi né sotto occupazione”. Se alcuni milioni di italiani vivessero da decenni una situazione simile a quella dei “palestinesi”, nel frattempo la loro “identità” si sarebbe differenziata radicalmente da quella degli altri italiani. E non solo per l’intervento interessato di qualche ideologo. Si sarebbe sviluppata per esempio una letteratura che ha al centro preoccupazioni diverse da quella degli italiani che non vivono come refugees in campi profughi etc. I raggruppamenti politici sarebbero molto diversi, probabilmente l’insegnamento scolastico sarebbe diverso etc. Le storie, le narrazioni che la gente si racconta, anche attraverso i media, le canzoni etc. sarebbero altre e così via.

Ma i palestinesi hanno una ragione in piu' per dirsi palestinesi. Perche' se un padano non e' padano, allora e' italiano. Se un palestinese non fosse un palestinese, non sarebbe proprio niente.

Non capisco. Forse intendi che se il padano non ha uno stato-nazione “padano” cui riferirsi, può comunque sempre far riferimento allo stato-nazione italiano. Mi sfugge però il nesso con quello che segue.

Fortunatamente l'interesse verso il petrolio si affievolira' e si rivolgera' verso altre fonti come l'etilene. Presto quella zona del mondo non interessera' nessuno. I fricchettoni radicalchic parleranno di qualche assurdo popolo del cazzo in sudamerica, dove c'e' bioetanolo e quindi business, e i palestinesi verranno sterminati senza che nessuno se li ricordi piu'. […]
Perche' c'e' da dire una cosa: se vivi in medio oriente e non sei ebreo, e non sei neanche palestinese, non ti si incula nessuno. Tantovale essere palestinesi. Almeno qualcuno ti caga.


Non capisco assolutamente cosa significhi questa parte del commento. Al di là delle dinamiche di assunzione rivendicativa di “identità” (che pure esistono anche tra i “palestinesi”, ovvamente), milioni di persone che si definiscono/vengono definite “palestinesi” non vivono nei campi profughi o sotto occupazione militare al fine di essere prese in considerazione da qualcuno (“non ti si incula nessuno”: chi scusa? Ma forse non ho capito il senso di quelle frasi semplicemente perché non conosco il gergo giovanile).
Posso solo far osservare che l’interesse dei media (e dei “fricchettoni radicalchic”?!) non è necessariamente legato al petrolio. Pensa al Vietnam o al Sudafrica. Una cosa su cui sono invece completamente d’accordo è l’altissimo grado di selettività e di esclusione delle sofferenze sociali (non parliamo poi di quelle umane in generale) sulla base delle priorità imposte dai media. Che in questi anni sono concentrati su quella particolare area di conflitto.

Un'ultimissima nota: Brecht si rifiutava, mi pare con ottime ragioni, di parlare di "popoli". Se ci si deve riferire a consitenti gruppi collettivi è molto meglio usare il termine "popolazione". A destra, a sinistra, tra i filo- e gli antiimperialisti, persino tra i giuristi, i filosofi della politica e del diritto, si affaccia costantemente questo vecchio concetto organicistico-reazionario, che non aiuta a capire nulla delle dinamiche sociali e offre solo l'appiglio alla costruzione di "Feindbilder" o a insopportabili forme di pseudospeciazione culturale (come dicono gli etologi).

Rosa ha detto...

uriel:
Fortunatamente l'interesse verso il petrolio si affievolira' e si rivolgera' verso altre fonti come l'etilene.
rosalux:
se il picco è - come dicono - alle porte, si farà in tempo ad assistere all'apocalisse, prima che ci si riconverta a una qualche fonte diversa e quel posto lì torni ad essere "normale", temo.
Comunque, identità e aspirazione nazionale non sono la stessa cosa. L'aspirazione nazionale dei "padani" è una cagata indegna, indipendentemente dalla loro identità, da stroncare sul nascere. L'aspirazione nazionale dei palestinesi, indipendentemente dalla loro identità, sarebbe una salvezza per il medio oriente. Il punto è che non è stato quello l'obiettivo, purtroppo, finora.

Unknown ha detto...

"Identità" è una parola-piumone,dove puoi mettere di tutto.
Tanto per fare un esempio: quali sono le differenze specifiche epperò personali, identitarie e collettive, fra un Tedesco ed un Italiano?
Io come Uriel ho vissuto e lavorato in Germania per un po' di tempo (forse lui più tempo di me,non so).
Al tempo dei mondiali, tra l'altro, in un momento in cui i sentimenti nazionalistici e di distinzione vengono stimolati.
Qualche differenza di approccio e di mentalità l'ho notata, o almeno ho questa impressione: talvolta preferivo il modo italiano, talaltra quello tedesco (o pretesi tali).
Ho parlato con molti Italiani che vivono e lavorano lì da trent'anni (talvolta con moglie e figli tedeschi), ed hanno ovviamente idee più chiare delle mie: ma credo che questa domanda li spiazzerebbe un pochino.
Differenze ci sono, e le reciproche incomprensioni sono anche alla base della situazione di non integrazione degli Italiani, i quali per quanto ho potuto vedere e sentire parlano soprattutto fra di loro, talvolta non parlano neppure bene il tedesco, perché dicono "i tedeschi sono bastardi, sono arroganti, sono diversi" e sciocchezze varie.
Un'intolleranza arrogante che è in parte sostenuta da indubbi ed analoghi sentimenti razzistici e discriminatori che aleggiano in molti Tedeschi.
Insomma ci facciamo la guerra per una costruzione mentale molto debole e difficilmente definibile (l'identità) che si basa su risibili differenze di mentalità e talvolta anche culturali.
Il dramma dell'ebraismo tedesco e non solo è questo: la maggior parte degli Ebrei tedeschi riteneva che abbandonando o diluendo le proprie peculiarità identitarie ebraiche potesse uscire dal ghetto socio-mentale in cui erano rinchiusi, nonostante che in termini di benessere economico e partecipazione alla vita culturale e politica la loro comunità superasse persino quella statunitense.
Il punto è che normalmente l'identità (anche quando ha tratti culturali; il problema etnico è risibile e puramente ideologico, perché non esistono popoli che non siano nati dalle mescolanze) ha una forte valenza esclusivista ed implicitamente aggressiva prima ancora che avente una semplice funzione di separazione da tutto il resto.
E' questo che i nazionalisti europei (tedeschi ma non solo) non potevano accettare: che fossero conciliabili e niente affatto autoescludentisi il Deutschtum ed il Judentum, l'essere Tedeschi e l'essere Ebrei insieme.
Questa bestialità dell'impossibile convivenza fra più identità, in particolare fra identità ebraica e identità nazionale europea (uno degli assunti primari del nazismo, che non è altro che il nazionalismo coloniale al suo stadio più avanzato e coerente) è ancora presente in Europa, dove quel recente sondaggio sulla percezione di Israele e degli Ebrei mostrava come per una rilevante percentuale di intervistati gli Ebrei loro concittadini fossero più fedeli ad Israele che alla patria in cui erano nati.
Nonostante il progetto federativo ed il fatto che i Tedeschi di adesso non si sognerebbero mai di invadere un paese europeo, evidentemente, l'Europa continua a conservare una o meglio più modulazioni ideologiche nazionaliste (un nazionalismo potenzialmente sempre aggressivo e implicitamente "razzista") che stentano a cambiare.
Il problema palestinese è profondamente diverso: i Palestinesi e più in generale i popoli arabi non si fanno le guerre insistendo tanto su questioni nazionali, quanto su altri pretesti.
Combattono per avere uno stato e poter vivere decentemente, non sono interessati a questioni identitarie, sulle quali noi non abbiamo né influenza né voce in capitolo.
Quando sarà nato uno stato palestinese, sarà interessante vedere il progressivo formarsi di una nuova identità.
Attualmente dubito in effetti si possa parlare di una identità palestinese comune, non ultima ragione il fatto che molti degli attuali Palestinesi dei territori (senza contare i milioni discendenti dei profughi degli anni 40) provengono da varie zone del MO.
Hanno sentimenti di comunanza unitari, ma tutto questo è ininfluente riguardo alla risoluzione del problema politico.
Quando sei nelle peste non ti poni grandi problemi filosofici.
Ciao

Rosa ha detto...

x marmulak:
Stiamo discutendo di una materia - l'identità - duttile, mutifattoriale, immaginaria, ineffabile e instabile. Una "cazzata" come sinteticamente ma con una certa efficacia la definisci tu. In questo senso - credo - stiamo dicendo la stessa cosa, anche se io sono convinta che questa "cazzata" sia ineliminabile e ci consenta di "essere". L'identità ebraica è un puzzle, in cui è consentito che manchino dei pezzi. Io penso che questa identità fatta a puzzle sia un esempio estremo di quello che è - per tutti - l'identità. Ovvero un oggetto tutt'altro che immobile, un oggetto "storico", mutevole, e che non ha caratteristiche di stabilità (vedi la norvegese in italia, e il suo percorso). Una forte componente dell'antisemitismo è - a mio avviso - questa: gli ebrei sono lo specchio di questa instabilità: chi spera in una qualche solidità e permanenza del se' si osserva e ne rimane angosciato. A quel punto o riconosce la sua stessa instabilità, o nega all'ebreo consistenza e lo considera un imbroglione. Non a caso gli ebrei sono visti come ambigui, e sono percepiti come "pericolosi". Sono indistinguibili e però diversi: gli ortodossi piacciono agli antisionisti perchè sono "riconoscibili" e quindi meno destabilizzanti. In questo senso Gilad Atzmon, che è un vero self hater, è interessante: fonda se' stesso sulla negazione dell'identità ebraica, che nel contempo paradossalmente lo ossessiona.
Quello che dici sul guardarsi "dentro" e "fuori" è verissimo, ed è vero che non lo fanno solo i self hater, volevo solo dire che anche l'occhio di chi ti osserva non è, e non può essere "oggettivo".

Rosa ha detto...

a proposito, mi pare che "pane e cioccolata" descriva esattamente il problema nella sua complessità. In particolar modo Manfredi, al ritorno dalla svizzera, pensa di tornare nel "suo" paese, ma quando vede gli italiani che stornellano con il mandolino si accorge che lui non è più "lui".

marmulak ha detto...

x Rosa

ehmm, per la verità la tua sintesi della mia posizione sulla questione dell'identità è un po' estrema :)

In effetti io non la definisco esattamente una "cazzata".

Ho semplicemente detto che "Il gioco dell’”identità” è soprattutto un gioco di società (un gioco spesso crudele, e idiota)".

Vuoi indurmi anche tu a usare un linguaggio giovanilistico come quello Uriel? :)

Anonimo ha detto...

1)
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Non capisco cosa significhi questa frase.
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Perche' non sai cosa sia il settembre nero. Il numero di palestinesi ammazzati dai giordani e' piu' alto di un ordine cento a quelli ammazzati dagli israeliani.

2)
Ah, ma tu parli dei palestinesi sin dal 1948. E lo sai quanto insignificante e', sul piano storico , un periodo cosi' ristretto? Parlane pure dal 1948. Chissenefrega?

2)cosa vuol dire? Voglio dire che un padano, quando smette di essere un maniaco di protagonismo e inizia a ragionare, torna ad essere italiano. E questo perche' ha una storia culturale, rintracciabile sino a qualche millennio PRIMA del 1948, che lo include nella storia di quella che oggi e' la lingua e la cultura italiana. Ma se un palestinese smette di dirsi palestinese, che cos'e'? Niente. Prima del 1948, cinque minuti fa sul piano storico, non era niente. Posso rintracciare pezzi di ebraismo fino a 3500 anni fa. Prima del 1948, non trovo un cazzo di nulla su "palestinese". Se il palestinese si libera di questa giacchetta storicamente irrilevante di pseudo-identita', semplicemente non diventa parte di qualcosa d'altro: scompare.

3)Il palestinese esiste principalmente perche' gli conviene esistere come palestinese. Se io prendo uno stronzo qualsiasi e lo ammazzo, o distruggo un popolo qualsiasi, nessuno mi caga perche' non sto ammazzando palestinesi. Se invece ammazzo un palestinese, ecco che finisco su tutti i giornali di una certa area politica. Il risultato e' che uno stronzo qualsiasi che vuole far politica da quelle parti DEVE essere un palestinese e DEVE farsi ammazzare qualche militante dai malvagi sionisti. Altrimenti e' solo uno dei tanti popoli del cazzo di cui a nessuno frega meno di niente. Come i tibetani, allegramente sterminati dai cinesi, di cui non frega un cazzo a nessuno perche' non sono palestinesi. Se per disgrazie i tibetani domani decidessero di essere palestinesi, sarebbero sulla bocca di tutti. La pura e' semplice realta' e' che i palestinesi sono uno dei tanti popoli del cazzo, tipo il darfur o il tibet o millanta altri, solo che hanno il vantaggio che quando li stermini la cosa finisce sui giornali. Per questo e con questo l'identita' palestinese e' forte, piu' di quella tibetana o di quella del negro del darfur.

E , procedendo per estensione, tutti i popoli del cazzo di medio oriente sono solo popoli del cazzo di cui non fregherebbe una sega a nessuno se non ci fosse il petrolio. Il loro posto nello scenario internazionale e' nullo da 100 anni a questa parte, sic et simpliciter. Non ce ne sbatterebbe un cazzo degli hetzbollah o della stabilita' del Libano o della Turchia in Europa se quella zona non fosse una zona petrolifera. Una volta che l'interesse verso il petrolio inizia a calare, gli usa possono parlare di ritiro, e se Ahmadinejadd si fa l'atomica sbatte sega quasi a nessuno: cosa ci fa, ammazza iracheni? E chi se ne fotte, detto come va detto , degli iracheni?

La cosa che ci si ostina a non capire e' che le vicende di per se irrilevanti di quei popoli di per se irrlevanti sono state ingrandite da un interesse politico dovuto principalmente ad interessi economici (e relativi controinteressi) legati al petrolio. Se, come sta succedendo da qualche anno ormai, si realizza che il picco di produzione e' raggiunto e si cercano altre strade, quei popoli tornano alla dimensione di sempre. Alla dimensione del "sbatte na sega a nessuno". Come per il darfur, o per il tibet, o per decine di altri popoli del cazzo di cui frega niente a nessuno.

Non avviene nulla di grave ed importante in medio oriente, se togli il petrolio. E' grave che israele ammazzi palestinesi perche'spara vicino al petrolio, che richiede tranquillita' per essere estratto. E' grave che Ahmadinejad abbia l'atomica perche' vicino al petrolio i botti non ci stanno. E' grave che ci sia al qaeda perche' per avere il petrolio ci servono gli emiri e non possiamo fare un muro come a Gaza.

Ma se togli il petrolio, nessuna di queste frasi e' vera, e non sta succedendo un cazzo di niente di importante. Cosi' come i palestinesi hanno un'identita' perche' vicino al petrolio litigare e' male perche' ci vuole stabilita'. Niente petrolio, chissenefotte.

Sarebbe ora che la si smettesse di tenere gli occhi puntati sulla vicenda di popoli che , tolto il petrolio , non ha alcuna rilevanza storica.

Uriel

Anonimo ha detto...

@rosaluxemburg: il picco di produzione non e' alle porte. E' gia' arrivato. Sono 10 anni che vengono promessi degli aumenti di produttivita' e dei nuovi pozzi, ma in realta' si attinge dalle riserve e i nuovi pozzi producono una roba antica e bituminosa costosissima da lavorare.

Non ci sara' nessuna apocalisse, semplicemente ci si convertira' ad altri carburanti e il petrolio residuo, che diventera' sempre piu' caro, lo useremo per l'industria farmaceutica.

Ovvio, il medio oriente uscira' dalle prime pagine dei giornali, dalle seconde pagine dei giornali, dalle terze pagine dei giornali, e forse troverai qualcosa vicino allo sport. La ternana vince 3-2 , bombardata a tappeto Gaza. Aida Yespica si e' rifatta le tette, i palestinesi bruciati col napalm.

Ovvio, a quei paesi, abituati a ricevere attenzioni per il semplice fatto che milioni di anni fa le foreste hanno deciso di giocare a nascondino, ne saranno un po' contrariati. Quindi avrai quelli che si fanno la bomba atomica, quelli che fanno terrorismo, quelli che iniziano a fare teatro, quelli che decidono di lasciare lo spettacolo per dedicarsi alla famiglia, e tutte quelle cose che le starlette di breve durata fanno quando passano di moda.

Come se a qualcuno di noi fottesse qualcosa della dinastia Fahd, tanto per dire.

Uriel

Rosa ha detto...

x marmulak:
sì, ovvio, era una sintesi della sintesi. :-)

Unknown ha detto...

Personalmente a me della famiglia saudita non importa granché: ma se davvero il picco del petrolio di Hubbert è stato raggiunto, mi preoccupo moltissimo delle possibli conseguenze, ancora più gravi di quelle prospettate icasticamente da Uriel.
Gli studi degli effetti geopolitici possibili di una crisi estrattiva-produttiva sono ancora agli inizi.
Tanto per fare un esempio c'è chi connette il crollo definitivo del sistema sovietico proprio con il raggiungimento del picco del petrolio: non so se questa ipotesi sia giusta, ci sono anche teorie contrarie.
Ma sta di fatto che c'è la possibilità che questo evento possa produrre effetti gravissimi, invece del "semplice" passaggio alla produzione di energia esclusivamente con altri strumenti.

Anonimo ha detto...

@Mattbeck: guarda che e' arcinoto che il picco si sia raggiunto , e mica da mo'. Mi sai indicare l'ultima reale (cioe' non ottenuta mediante le riserve) crescita estrattiva , cioe' lo scavo di nuovi pozzi?

Non dico "mettiamo piu' pompe a succhiare negli stessi pozzi" , che non e' crescita estrattiva perche' la quantita' di risorsa non cambia. Dico la data in cui si siano scoperti pozzi petroliferi che non siano ammassi (come in Alaska) di antichissimo quasi-bitume utilizzabile solo a costi immensi?

La realta' e' che non mi saprai indicare questo momento negli ultimi 10 anni. Ma specialmente, mi sai indicare il momento in cui la crescita di estrazione ha superato o eguagliato la crescita di domanda? E la risposta e' ancora "no".

Il picco produttivo, pesato dalle capacita' del mercato, e' stato raggiunto anni fa. Magari potrai anche raddoppiare la produzione, ma se la domanda nel frattempo si e' quadruplicata, il prezzo ne rende impossibile l'utilizzo.

Non e' neppure impossibile che con gli ultimi pozzi ci si facciano le medicine (visto che la filiera farmaceutica e' basata sul petrolio) perche' le medicine possono costare molto, e non carburanti.

In ogni caso, l'interesse verso il petrolio e' gia' sceso. Non e' che Bush e' andato da Lula a parlare di bioetanolo e brevetti sul bioetanolo per caso, sai?

Sara' divertente vedere chi si incula ancora palestinesi, ahmadinejad, Fahd , Bin Laden e tutti gli altri, una volta che l'interesse verso il petrolio calasse.....

Stermineranno i palestinesi col napalm sotto il naso dell'occidente "democratico", e siccome da quelle parti non ci sara' piu' interesse, una certa sinistra sara' a manifestare per qualche popolo del cazzo sudamericano, dove ci sara' il nuovo interesse, cioe' i brevetti sull'uso e il ciclo industriale del bioetanolo...

Ma il mondo passa da uno stato di equilibrio ad un altro stato di equilibrio, e lo fa per piccoli passi.

Non ti illudere di vedere un apocalisse, e specialmente non ti illudere che un apocalisse faccia fuori quelli che ti stanno sul cazzo. Le apocalissi non vengono mai per fare giustizia o sanare torti.

Uriel

marmulak ha detto...

X Uriel

Il concetto di “popolo insignificante”, che tu continui a usare, è doppiamente inconsistente:
Innanzitutto per l’ordine di ragioni che sintetizzavo con il richiamo a Brecht. E poi per il fatto che non si capisce quale sarebbe il metro di giudizio per giudicarne il valore, la significatività. Forse è la logica del successo economico? Della potenza militare? Del contributo alla ricerca scientifica?
Ci sarebbero “popoli” belli forti e significativi, come quello “americano” o “francese”, e “popoli del cazzo” come il “popolo” senegalese o malgascio?
È ovvio che ci sono differenze di ricchezza etc. tra le varie popolazioni in cui attualmente si divide la specie, ma a me questo uso del linguaggio suona molto aggressivo e addirittura meno utile di categorie come centro/periferia, per leggere la storia.

A proposito del settembre nero: della storia, della identità oggetivamente differenziante (2.2) di quei “giordani palestinesi” che tu non riesci a distinguere dagli altri giordani, fa parte anche questo: nella memoria storica dei “giordani non-palestinesi” non c’è, per esempio, l’aver subito una repressione di quel genere.


Ah, ma tu parli dei palestinesi sin dal 1948. E lo sai quanto insignificante e', sul piano storico, un periodo cosi' ristretto?

Contesto la tesi che mezzo secolo sia un periodo ristretto sul piano storico.

Del “popolo italiano” nel 1911-15 si poteva parlare da poco più di mezzo secolo, eppure questo “periodo ristretto” non è stato affatto insignificante, sul piano storico, se ha portato quella nuova identità a intraprendere guerre coloniali e poi a entrare in una terribile guerra europea, e alla morte di centinaia di migliaia di soldati “italiani” e “austriaci” sulle Alpi.

Ti faccio un altro esempio: Tocqueville ha studiato i caratteri tipici della nuova “nazione”, o del nuovo “popolo” americano (non più “inglese”), nei primi anni ’30 dell'Ottocento, a pochissimi decenni dalla dichiarazione di indipendenza. Sul piano storico, quel periodo è così poco insignificante, che il testo di Tocqueville viene ancora studiato.


Voglio dire che un padano, quando smette di essere un maniaco di protagonismo e inizia a ragionare, torna ad essere italiano. E questo perche' ha una storia culturale, rintracciabile sino a qualche millennio PRIMA del 1948, che lo include nella storia di quella che oggi e' la lingua e la cultura italiana.

No. Gran parte della popolazione padana (non nel senso leghista: intendo semplicemente quelle genti che vivevano nella pianura del Po), prima dell’”unità d’Italia”, non parlava la lingua italiana (secondo De Mauro, nel 1860-70 la parlava circa il 2% della popolazione del nuovo stato), non condivideva affatto la cultura “italiana”, perché quella cultura (se si esclude la letteratura per le élites) non c’era: né alimentare, né architettonica, né di comuni esperienze storiche, né di usi e costumi (a parte i rudimenti dell’ideologia cattolica, che però le popolazioni della penisola condividevano con molte altre popolazioni europee).

Ma se un palestinese smette di dirsi palestinese, che cos'e'? Niente. Prima del 1948, cinque minuti fa sul piano storico, non era niente. Posso rintracciare pezzi di ebraismo fino a 3500 anni fa. Prima del 1948, non trovo un cazzo di nulla su "palestinese". Se il palestinese si libera di questa giacchetta storicamente irrilevante di pseudo-identita', semplicemente non diventa parte di qualcosa d'altro: scompare.

Non capisco: le popolazioni della zona sono arabe o arabizzate da moltissimi secoli. Sono quegli arabi che abitano nella regione.

E comunque cosa c’entra l’ebraismo? Stiamo parlando di arabi palestinesi moderni, non di popoli dell’antichità: egiziani, babilonesi, ebrei, greci, romani, gli antichi “celti” o germani. Tutte queste popolazioni dell’antichità se ne sono andate, non esistono più. Esistono alcune loro vestigia, tracce (nella pietra, nelle idee, nei testi, nei simboli, nell’immaginario) ma quelle culture sono scomparse. Anche se ci sono persone che, oggi, intendono rifarsi al loro retaggio (o addirittura credono di esserne i nipotini: pensa all’Italia degli anni trenta, alla retorica nazionalista neoellenica, alle volgarità celtiche di politicanti italiani, etc.).


Il palestinese esiste principalmente perche' gli conviene esistere come palestinese.

Ma dai, per favore, non banalizzare così. Stai parlando di esseri umani, non di astrazioni verbali. No, purtroppo il “palestinese” esiste perché le persone che si trovavano in quella zona hanno vissuto e continuano a vivere vicende tragiche di guerra, fuga, occupazione, repressione. Perché le vicende di dolore (amplificate, e perfino deformate, da narrazioni autolegittimanti, come in ogni comunità umana) formano purtroppo identità.

Se io prendo uno stronzo qualsiasi e lo ammazzo, o distruggo un popolo qualsiasi, nessuno mi caga perche' non sto ammazzando palestinesi. Se invece ammazzo un palestinese, ecco che finisco su tutti i giornali di una certa area politica. Il risultato e' che uno stronzo qualsiasi che vuole far politica da quelle parti DEVE essere un palestinese e DEVE farsi ammazzare qualche militante dai malvagi sionisti. Altrimenti e' solo uno dei tanti popoli del cazzo di cui a nessuno frega meno di niente.

Tu hai un’immagine del mondo decisamente eurocentrica. Sembra che in quell’area nessuno faccia politica se non è palestinese (mentre è un costante, variegato, ricchissimo pullulare di iniziative e contrasti politici-ideologici, dall’Egitto, alla Palestina/Israele, all’Iraq, al Kurdistan, al Libano, all’Iran etc.). Tu dici che “uno stronzo qualsiasi che vuole far politica da quelle parti DEVE essere un palestinese”: la tua formulazione è bizzarra. E' come se una persona decidesse di diventare palestinese al fine di fare politica e magari finire (come coronamento di tanti sforzi) sulle pagine di qualche giornale “di una certa area politica”, presumibilmente in Europa. Che immagine caricaturale hai di quella regione, di quelle esperienze, di quei conflitti!

Confondi un fatto sul quale ti davo ragione (lo sguardo selettivo dei media occidentali, che però è soprattuto un problema per chi li legge, che si ritrova una versione grottescamente semplificata del mondo) e il piano dei problemi reali, vissuti localmente (e realmente) dalle persone.

Anch’io trovo spropositato il peso che i media (di entrambi gli schieramenti) danno ai conflitti in Israele/Palestina, ma mi sembra che il problema continuerebbe a esistere, lì, a livello locale, per le persone coinvolte, anche se i media occidentali non se ne occupassero affatto (come non si occupano dei milioni di profughi afghani in Iran o in Pakistan, dei profughi in India, in Africa, in America Centrale).

E , procedendo per estensione, tutti i popoli del cazzo di medio oriente sono solo popoli del cazzo di cui non fregherebbe una sega a nessuno se non ci fosse il petrolio. Il loro posto nello scenario internazionale e' nullo da 100 anni a questa parte, sic et simpliciter.

Scusa, tutto questo mi sembra farneticante (con un fastidioso retrogusto di arroganza). Chi intendi che non si interesserebbe delle popolazioni, società e culture del Vicino Oriente? Chi è quel “nessuno”? I governi degli stati militarmente potenti? Le grandi imprese? Il lettore della Gazzetta del Mezzogiorno o della FAZ (o della Bild-Zeitung)? Le persone dell'area, che quei problemi li vivono? Non so, questi sembra che non ti vengano mai in mente.

La cosa che ci si ostina a non capire e' che le vicende di per se irrilevanti

“Di per sé irrilevanti”? Ma cosa stai dicendo? Per te, forse. Ma non certo per chi le vive.

di quei popoli di per se irrlevanti

Di nuovo. “Di per sé irrilevanti”? Quali sono i “popoli” di per sé rilevanti? Qui il retrogusto non è solo arrogante, ma anche razzistico. Prova a rileggere quello che scrivi.

[…] quei popoli tornano alla dimensione di sempre. Alla dimensione del "sbatte na sega a nessuno". Come per il darfur, o per il tibet, o per decine di altri popoli del cazzo di cui frega niente a nessuno.
[…] Sarebbe ora che la si smettesse di tenere gli occhi puntati sulla vicenda di popoli che, tolto il petrolio, non ha alcuna rilevanza storica.


Uriel, che cos’è questo feticcio della rilevanza storica? Quale storia? La Weltgeschichte? A me sembra importante capire le diverse forme in cui si dà l’esperienza umana (anche storicamente). Il tuo punto di vista non è chiaro. Si percepisce soprattutto un livore estremo e una strana fissazione sui “palestinesi” (che paragoni ai “padani”).
Io non avrei nemmeno toccato il problema dell'identità palestinese, se non avessi letto alcune tue strane affermazioni sulla impossibilità di distinguere un'identità particolare per popolazioni come quella palestinese (e l'assolutamente inappropriato paragone con i "padani").

Unknown ha detto...

@ Uriel

Vorrei precisare un paio di cose...

1) le risposte alle domande che fai curiosamente a te stesso sono corrette, per quel che so: ma so anche che il presidente della Aspo non è completamente certo che il picco sia stato raggiunto.
Magari sbaglia o mente, non lo escludo.
Ma non posso avere certezze in materia.

2) i Palestinesi col petrolio non c'entrano niente, al punto che neppure gli Inglesi erano interessati a tenersi la Palestina, ma la lasciavano ai Turchi.
La Palestina può contare solo su altre risorse o strade d'investimento per uscire dalla povertà, non certo sulle ricchezze di carbonfossili.
Se i Palestinesi attirano così tanto l'interesse e la compassione pelosa del mondo è soprattutto perché sono vittime della politica israeliana e di una cricca di tiranni e burocrati, palestinesi e non.
Insomma, c'entra l'antisemitismo, secondo me.
L'occidente non ha bisogno dei Palestinesi per discutere di petrolio con la Siria o con l'Iran o col Kuwait.

3) Se non avvenissero apocalissi di sorta sarebbe meglio, ma è inesatto che la storia proceda solo per piccoli passi da uno stato di equilibrio all'altro.

4) Lungi da me questi pensieri:

"Non ti illudere...che un apocalisse faccia fuori quelli che ti stanno sul cazzo. Le apocalissi non vengono mai per fare giustizia o sanare torti."

Rifuggo da qualunque finalismo storico, tanto meno apocalittico (tipo "il giorno, quel giorno della furia ecc.") e tanto meno giudizio universale umano style.
Ti pregherei di essere più cauto, prima di attribuirmi idee mai espresse né tanto meno sottintese o adombrate.
Senza alcuna base infatti distorci i termini del discorso e modifichi in modo fazioso le coordinate della discussione.
Senza offesa, è solo una precisazione-richiesta.

PS Le analisi, per quanto accurate e metodologicamente corrette,non danno mai la risposta sicura e matematica, tanto meno in scienze così empiriche come la storia ed in fondo la stessa economia (che tu conosci meglio di me); gli uomini non agiscono secondo una logica matematica, spesso e volentieri e ci sono troppe variabili imprevedibili.

Ciao

Anonimo ha detto...

@Marmualak: blablabla. E chi se ne fotte ce lo scriviamo?

Appartieni al solido insieme delle ignoranze colte, delle nullita' intellettuali piumate.

I tuoi argomenti cadono semplicemente di fronte alla realta': i signori in Darfur stanno venendo ammazzati dagli arabi, i tibetani sono scomparsi, di decine di popoli indios non si hanno notizie, e nessuno fa un milionesimo di quello che si fa per i palestinesi.

Che esistano popoli del cazzo di cui non frega nulla a nessuno e' evidente. La stessa Italia, per diversi secoli, e' stata un popolo del cazzo di cui non fregava una cippa a nessuno, una nazione dove si facevano le guerre per non devastare i giardini di casa, una nazione che si spartiva col righello a tavolino. E oggi siamo qui.

I popoli del cazzo di cui non frega nulla a nessuno sono sempre esistiti, che ti piaccia o meno.

E non credo nemmeno che in realta' a qualcuno fotta qualcosa dei palestinesi, semplicemente e' una moda sostenuta da un interesse mediatico legato alla passata importanza economica della zona.

Dei palestinesi (ammesso che esistano come tali) e del loro destino frega un cazzo a nessuno, solo che qualcuno fa finta che sia un problema gravissimo, perche' magari non vuole affrontarne altri interni, piu' spinosi. Che una manifestazione per la Palestina ci sta sempre, una contro il Papa fa cadere il governo, e' chiaro che Rifondazione manifesta per la PAlestina. Tutto qui.

I Palestinesi come foglia di fico per la mancanza di altri contenuti politici. Oh, ci sono delle persone dietro. E quindi? Ci sono anche tra gli israeliani quando si discute se Israele possa esistere o meno. Ma Israele e gli israeliani, per la sinistra radicale, sono un altro dei popoli del cazzo di cui non frega niente a nessuno: si distrugga pure israele, chi se ne fotte? Sono sionisti, peggio dei negri. PErche' dovrebbero vivere? Hanno torto, chisenefotte se crepano?

Parla, parla, parla, parla pure. Ma i popoli del cazzo vengono sloggiati, massacrati, macellati, da 5000 anni a questa parte, e se non ci sono altri interessi, frega niente a nessuno. As usual.

O meglio, nessuno spende risorse a far finta che gliene freghi qualcosa. Detto come va detto, se tu lavorassi alla costruzione di bombe da lanciare sui palestinesi, e qualcuno chiudesse la fabbrica, tu saresti a manifestare contro la chiusura, per il tuo posto di lavoro.

I puri e duri non esistono, e non sono mai esistiti. Sono solo blablabla da radicalchic.

Il resto che hai scritto e' solo fuffa fritta servita dentro eleganti castelli per aria. Il completely invented english mischiato al totalmenten sconosciuten tetesken , tanto per spararsi delle pose.

So scrivere di meglio, quando ho tempo. Difficilmente mi impressioni con quella nientita' piumata.

La solidarieta' come certificato sociale di bonta'. Che ridere.

Dimmi: ti senti buono, vero, quando scrivi queste cose? Ti senti elevato? Senti di... avere ragione? Fossi in un film western, saresti quello col vestito bianco, nevvero?

Eh, il certificato di Bonta' Assoluta e' duro da conquistare. PEro', in certi salotti fa un figurone...

Uriel

marmulak ha detto...

x Uriel

Visto che presentavi i tuoi primi commenti come riflessioni (magari un po' concitate), ho cercato di argomentare, per risponderti, avendo cura di trovare esempi e spiegazioni chiare. Punto per punto.

Ah, grave errore. Ah, vecchia cecità umanistica ... :)

Tu non leggi nemmeno quello che scrive il tuo interlocutore. (Non dico: attentamente. Non lo leggi proprio).

Fai qualcosa di più divertente.

Tu l'interlocutore te lo inventi. Grosso modo io per te sono: un poseur di rifondazione comunista, che ama frequentare salotti, esibire certificati di buonismo, difendere l'occupazione nelle fabbriche d'armi, ed è (ovviamente) incapace di vedere la "realtà". Ah, dimenticavo: naturalmente è un fricchettone radicalchic...

Una volta costruito il personaggio (e quello che hai costruito ha delle caratteristiche che lo rendono gradevolmente insopportabile...) ti piace esercitarti in lunghe invettive contro di lui. Magari piene di espressioni un po' volgari, giovanilistiche, goliardiche.

Na ja, ich gebe es zu: es ist alles sehr, sehr lustig.
Und viel Spass noch, junger Mann ... :)

Anonimo ha detto...

Questa discussione è interessantissima e riguarda questioni di cui sto occupando da un po'. Mi scuso per aver avuto tempo di seguirla solo ora. Mi leggo tutti i commenti con calma. Intanto, già che ci sono, volevo chiedere ad Uriel perché mi abbia bannato.
:)