giovedì 29 marzo 2007

natura spring, o del tabù della pedofilia

Ogni società culturale è regolata da una rete tabù, e raramente questi tabù sono universali. Non c'è società priva di tabù sessuali, e la nostra ne ha pochissimi: il nostro tabù sessuale per eccellenza, uno dei pochi rimasti e forse per questo tanto solido, è la pedofilia.
Nei commenti al post precedente Dacia - che ha una formazione solidamente ideologica, oltre ad essere convintamente relativista (cowboy esclusi, va detto) - sostiene due cose.
La prima - con cui sono parzialmente d'accordo - è che la pedofilia è un tabù culturale, la seconda - e qui mi ribello - è che è un tabù "imposto dall'alto".
Provo a spiegarmi.
Intanto si dice che la morale naturale non esiste, o meglio, che la fonte della morale non è la natura.
Da brava dilettante dell'etica, mi permetto di eccepire: se si può discutere culturalmente intorno all'età da marito delle ragazze, che una in società contadina sono spose e madri a 12 anni e in una società urbana alla stessa età sono bambine immature che necessitano di anni e anni di addestramento alla vita, non c'è invece società - mi risulta - che veda con simpatia chi si ingroppa i neonati in culla.
E invece ci sono pedofili che lo fanno.
Quindi la natura non sarà magari la fonte dell'etica, ma a volte qualcosina da dire anche lei ce l'ha.
Cosa accade invece con una ragazza in pubertà? Qui la faccenda si fa assai più sfumata, e interessante. Prima di tutto c'è da insinuare - e io lo faccio - che qui natura e cultura abbiano due opinioni assai diverse, in materia di etica.
Agli uomini piacciono occhi grandi, naso piccolo, piedi piccoli... tutto che rende attraente una donna sono dei "segnali di estrema gioventù/infanzia". Una donna giovane ha di fronte a se' anni di potenziali maternità e di buona salute, è un investimento biologicamente migliore e istintivamente i maschi lo sanno.
Dunque - mediamente - le ragazze puberi ai maschi piacciono.
Qui subentra il secondo assunto ideologico della Dacia, che vivendo la straordinaria e bizzarra contraddizione di combinare una visione violentemente manichea e al tempo stesso relativista della società sostiene che il tabù sia imposto da una specie di casta di potenti che ipnotizzano le genti imponendo i loro diktat culturali.
La società è invece - secondo la mia visione - una rete complessa di cultura, modi di vivere, necessità, opportunità che crescono e si sviluppano motu proprio intorno all'interazione, alla mediazione, e alla lotta tra interessi diversi e comuni. Noi siamo nati e cresciuti in seno a società urbane, nelle quali per vivere è necessaria una alta specializzazione. Una donna, nelle nostre società, per potere allevare altri (pochi) figli a loro volta altamente specializzati a vivere, deve - per esempio - lavorare: nelle società urbane sono pochi ricchi quelli che possono permettersi un solo - lauto - stipendio per mandare avanti la baracca.
Dunque il tabù che proibisce ad un adulto di toccare una pubere è un tabù fondante e fondamentale delle nostre società non per l'interesse di pochi, ma per l'interesse di tutti.
Un articolo sovrastrutturale, necessario - come ogni tabù - a fondare l'identità collettiva, e strutturale, cioè necessario a mandare avanti quella baracca che non sarà un granché ma cazzo - è pur sempre la nostra mammella.
Se poi Dacia, da cultrice del femminismo biologico, sogna una società dove le donne siano preposte a far molti figli e non lavorino, e per quello si batte, che lo dica chiaramente.
Posso - però - restituirle il "crumira" che un giorno - in materia di islamofemminismo - mi fu da lei appioppato?

9 commenti:

Anonimo ha detto...

Penso che tu e dacia vi stiate scontrando per questioni diverse rispetto al merito. Credo che a scoraggiare Dacia siano le implicazioni delle tue affermazioni. Possiamo affermare che esista una morale naturale: dopo il menarca la femmina di homo sapiens e' pronta a riprodursi, punto, per la semplice ragione che l'organismo umano funziona cosi'. Oppure potremmo elevare a morale universale altri criteri; non e' una cosa strana come sembra, si chiamano "teorie unificanti" . Facendo cosi', pero', elimineresti la qualita' esclusiva delle minoranze, alle quali Dacia tiene molto. nella visione di Dacia, la diversita' produce l'identita', se non sei diverso non hai identita'. Ovviamente, "la diversita' produce l'identita'" e' un errore logico evidente, anche ammettendo che le due cose siano complementari. In Generale a Dacia piace pensare che l'insieme dei mussulmani sia ontologicamente diverso dagli altri; se cosi' non fosse il negro sarebbe una persona come tutte: un bianco povero e' un bianco povero, un negro povero e' un afroamericano vittima del sistema imperialista, mentre in un sistema equalitario sono due sfigati di colore diverso. Costruire una morale universale non fa altro che togliere alle differenze la possibilita' di venire usate come identita'; e poiche' le differenze *visibili* sono alla base della costruzione delle fazioni (le magliette nelle squadre di calcio, le divise dei militari, etc), una morale comune non fa altro che eliminare le fazioni. Proporre la pedofilia come concetto universale e' possibile, a patto di riconoscere l'asimmetria del rapporto e vietare i rapporti fortemente asimmetrici, se X ha un potere di trattativa enormemente superiore ad Y, ogni contratto fra X e Y e' nullo e potenzialmente criminale. Cosi' facendo, pero', la moglie mussulmana italiana perde un possibile criterio per distinguersi dalla moglie non mussulmana italiana ; persa la differenza persa l'identita', persa l'identita' persa la fazione.

La mia posizione a riguardo e' molto semplice: bisogna sempre stare molto attenti a costrire ghetti ; anche quando costruisci un ghetto per te e i tuoi "fratelli", costruendo un ghetto confortevole e magari molto coeso, c'e' sempre il rischio che qualcuno ti ci chiuda dentro.

In generale, spesso le persone sole sognano un ghetto , con la sua umanita' coesa e cosi' affratellata; l'aspetto di fratellanza allevia il senso di solitudine. Nella gran maggioranza dei casi, scoprono che nel ghetto c'e' il bastardo tanto quanto fuori, che ti inchiappetta mentre ti chiama "fratello", sostenendo che il nemico fuori ti avrebbe inchiappettato anche peggio e quindi dovresti essergli grato. Gaza insegna, del resto, quanto amari possano essere i ghetti , quando alla gente fuori basta un giro di chiave per chiuderti dentro.....

Uriel

Rosa ha detto...

la differenza produce all'inizio identità, poi emulazione, mescolamento, tramonto della vecchia identità, alba della nuova. E' un processo che spaventa, questo della labilità identitaria, così enfatizzato dagli scambi tra popoli: spaventa un po' tutti, dai leghisti ai fondamentalisti vari. D'altra parte non è la trattativa per stabilire il set minimo che accelererà questo processo.

Anonimo ha detto...

Per curiosita': il discorso sulla pedofilia e sull'imposizione culturale parte dal caso di un 32enne sposato secondo matrimonio islamico con una 12enne right?
Ora, a proposito di imposizione culturali e parlando di Islam mi ricordo vagamente che il consenso della fanciulla e' conditio sine qua non per la validita' del matrimonio.
Il secondo punto e' che il Corano distingue tra fanciulle puberi e non puberi. Se la fanciulla non e' pubere, pare un se pueda e se non e' sposata un se puede lo stesso perche' e' zina.
Ora l'idea stessa che il matrimonio a 12 anni sia accettabile o meno e' un'imposizione culturale discesa dall'alto in un tipo di societa' il cui la questione esiste una notevole importanza data alla fertilita'.
In societa' quali gli USA il matrimonio underage, anche se si parla di 14/15enne, e' visto come garanzia per salvaguardare la purezza della fanciulla dal rischio di iniziare relazioni sessuali extraconiugali.
Dall'alto viene fatta calare un'imposizione senza dare tante possibilita' di scelta.
Credo che in tutto questo la pedofilia come la intendiamo noi in campo occidentale c'entri na beatissima mazza.
Quello che invece cambia tantissimo e' la concezione del matrimonio e questioni quali fertilita'/verginita'.
Non c'azzecca un fischio il turista sessuale che va in Thailandia con il signore che si sposa la 12enne.
Arrivano e rappresentano due mondi totalmente diverse e due concezioni totalmente diverse della questione.
Da una parte abbiamo l'alibi di dire "li' si usa" tralasciando volutamente che le bambine in questione sono vendute dalle famiglie e che in Thailandia come in altri paesi c'e' una tradizione di matrimoni infantili ma di matrimonio si parla, dall'altra abbiamo qualcosa che si basa su un contratto.
Cosa non cambia mai e' che c'e' una parte debole non tutelata, una parte priva di potere.
La giovanissima moglie non parla, non ha voce e non ha potere.
Puo' solo avere quel ruolo che le e' concesso dall'alto dalla tradizione in una situazione in cui la ribellione farebbe di lei una donna non onesta (parlando di tabu' e convenzioni sociali).
Esattamente come la bambina thai o cambogiana non puo' rifiutare nulla al cliente non per dei tabu' ma perche' e' schiava.
Poi per la carita' noi in occidente si puo' ululare alle costrizioni ed alle imposizioni quanto si vuole ma, in casi come questi, dall'altra parte c'e' chi la liberta' di dire no non ce l'ha. Ed e' bizzarro che a sostenere la liceita'/correttezza dei matrimoni con le giovanissime siano spesso i componenti piu' conservative dell'Islam.

Anonimo ha detto...

Credo ci sia un vistoso equivoco in tutto cio': far passare per cose islamiche dei rituali tribali locali, solo perche' la tribu' locale e' mussulmana. Come dire che il catechismo della chiesa prescriva il delitto d'onore o il panettone.

Il fatto che la bambina di 12 anni non abbia potere di trattativa non deriva dalla sharia (e non l'ho mai detto),ma deriva dal fatto che quelle societa' si comportano cosi'. Che poi, nel tentativo di costruire una pervasiva identita' islamica si facciano ereditare all'islam tutte le caratteristiche delle societa' che lo praticano... bah.

Uriel

Anonimo ha detto...

Io continuo ad avere l'impressione che da queste parti del pensiero di Dacia e MM non si sia capito molto. Anche se ammetto che a non aver capito Dacia forse invece sono io... mah...

Anonimo ha detto...

@rosalux: non c'e' alcun set minimo. Il set di valori vincenti e', quasi sempre, il piu' complesso. Nel campo delle domande che l'uomo sapiens si fa, vince la risposta piu' flessibile, complessa e comprensiva. Il "set minimo" non ha mai convinto nessuno.

"La risposta e' 42" e' probabilmente l'unica risposta corretta ai grandi dilemmi della spece umana, dei filosofi, dei religiosi e degli scienziati. Non vince perche' e' troppo semplice, non si applica alla vita quotidiana e alle differenze tra esseri umani. Eppure e' una sacrosanta verita', scritta dal piu' grande profeta di tutti i tempi. (dopo Josip Tito e Pol Pot, si intende).

"La risposta e' 42" ha tutti i crismi per essere un "set minimo" che mette d'accordo ogni cultura del mondo; ma perde terreno rispetto a banalita' come i Veda perche' i Veda permettono una piu' grande quantita' di masturbazioni mentali, bast pensare che si chiama Kali Yuga il week end e quindi ci permette di sapere come puntare la sveglia il sabato.

Uriel

Rosa ha detto...

il "set" minimo non esiste come oggetto in sè, il risultato volta per volta diverso di una negoziazione costante tra le parti: è quello che garantisce il miglior equilibrio possibile in una data situazione. Tu pensi che la matematica sia uno strumento utile a far giocare bene i giocatori, io penso che sia la democrazia: (ma sono pronta a cambiare idea, eh?)

Anonimo ha detto...

@rosa: dipende dalla negoziazione. Se si traduce in un gioco minimax, NON produce il miglior gioco possibile tra le parti.

Un gioco minimax e' quello che ricerca il miglior payoff per se' , anche a discapito del payoff globale. L'argentina e' un esempio: trattava con l' FMI , che prestava loro i soldi a patto di praticare politiche
iperliberiste.

La trattativa di per se' non garantisce un gioco cooperativo.

Uriel

Anonimo ha detto...

x Uriel
Scrivere "mussulmano", con due "s" anche se è variante paraviescamente accettabile, potrebbe causare degli equivoci. Pensa te che a qualcuno a cui i musulmani non stavano simpatici fu accusato in un altro blog di scriverlo con due "s" a causa del Gran Muftì di Gerusalemme (che per la verità il nostro infilava in ogni discorso, un po' come faceva Catone con Cartagine:-) ).
Ovviamente ti concedo la facoltà di accusarmi ad minchiam di aver io sostenuto che anche tu lo fai apposta, per creare collegamento con le SS:-).

Ciao
Ritvan

P.S. Ci sono strane credenze in giro per quanto riguarda 'ste cose, peggio dei coccodrilli albini nelle fogne di New York. Un collega - persona non solo professionalmente preparatissima, ma anche abbastanza colta - in una lista di discussione professionale (si discuteva della macellazione rituale-religiosa dal punto di vista veterinario) se ne uscì dicendomi che, diversamente da me, lui non parlava mai di "ebrei", poiché questa era una definizione ingiuriosa, bensì di "israeliani" (sic!). Ho dovuto chiarirgli le idee in proposito: fortunatamente non se la prese col mio QI, ma in compenso non mi rivolse la parola - telematicamente, s'intende - per un paio di mesi:-).