lunedì 16 gennaio 2012

Dell'educazione del pargolo italiano

Vado maturando il sospetto che tanti difetti dell'italiano medio nei suoi rapporti con la politica abbiano la loro origine nella matrice educativa ricevuta nell'infanzia, e che lì si debba agire se si vuol sperare di uscire dal pantano nazionale, più belli e più anglosassoni che pria. Naturalmente quando parlo di vizi nazionali non mi riferisco a qualcosa che riguarda tutti: molti italiani infatti ne sono privi e debbono subire un sistema che non amano, non apprezzano e in cui si trovano anzi molto male.
Prendiamo ad esempio la tendenza a legiferare su tutto e a non far rispettare nessuna legge, tipica del nostro paese. La mamma italiana - matrice primitiva del modello politico - pone regole di continuo. A mamma, non si tocca; a mamma, non ti mettere le mani in bocca; a mamma, non si dicono le parole brutte; a mamma, basta cioccolatini che ti viene il mal di pancia. Tutte queste regole vengono impartite con un escalation in diverse fasi che parte con una voce lagnosa e implorante e termina con facce da maschere del teatro del NO e decibel elevatissimi, corredate da minacce orribili. Il bambino italiano, però, impara prestissimo che tutto quello che deve fare non è ubbidire, ma avere una resistenza abbastanza lunga da averla vinta. Infatti nessuna minaccia viene mai messa in pratica: si tratta di un teatrino fatto allo scopo di far sviluppare nel bambino una tendenza infinita a rompere i coglioni. La mamma, a fronte dell'ovvio fallimento dato dal messaggio impartito (infatti perde sempre) dovrebbe giungere alla conclusione di avere commesso degli errori in campo educativo. Questo non avviene semplicemente mai. Il bambino rompicoglioni, infatti, in Italia si chiama affettuosamente "scavezzacollo", "caratterino" "peperino" e la mamma se ne lamenta lasciando trasparire un infinito orgoglio perchè significa che il rompicoglioni in questione - non è vero ma questo non conta - diverrà un maschio dominante: la sua resistenza, testardaggine, aggressività, i suoi decibel nel pianto sono prova sicura di avere "carattere", sono garanzia di successo nella vita.
La mamma italiana, poi, usa le promesse più o meno allo stesso modo delle minacce: una specie di teatrino dei burattini costante fatto per intrattenere il pupo. Quando una mamma dice "se vieni dal dottore ti porto al luna park" entrambi - madre e figlio - sanno che si tratta di una enuciazione che si esaurisce in se' - nel sogno del luna park - ma che non ha particolari probabilità di concretizzarsi in qualcosa di solido. Stessa cosa accade in politica: nulla di quello che si promette - dalla fine del precariato a sinistra al diminuire le tasse a destra - viene corredato di un programma pragmatico per la sua realizzazione. L'articolo 18 non protegge più nessuno? Non ha alcuna importanza, la forza del "principio" che tanto ha avvelenato le menti della sinistra italiana è il vero cardine , perchè il concetto "promessa" non contiene affatto il suo mantenimento. Ha solo il potere - a quanto pare sostanzioso - di sollecitare la capacità onirica di chi la riceve, che impara - sognando - a non chiederne conto mai. Il vizio, poi, di questa altalena tra promesse non mantenute e minacce non realizzate ha come effetto collaterale l'inutilità della trattativa fatta per ottenere risultati concreti, che non avviene ne' in famiglia ne' nel rapporto con l'amministrazione. Non è la trattativa a fare andare aventi le cose ma uno strano compromesso che suona un po' così: se non realizzi le tue minacce non ti chiederò conto delle tue promesse.
Putroppo il compromesso, diversamente della trattativa, tende a garantire semplicemente il mantenimento dello status quo: non aumenta l'intelligenza del sistema ne' è capace di farlo evolvere: scontenta tutti ma lascia le cose come stanno e quindi va bene così.