lunedì 27 settembre 2010

sotto la cravatta regimental

Quando si era in tempi di guerra fredda e di democrazia cristiana, io andavo ad una scuola di sinistra, avevo una famiglia di sinistra, frequentavo gente di sinistra: I know my chicken.

E la sinistra italiana, in quei tempi lontani, era - dall'autonomia operaia al PCI, una sinistra sostanzialmente comunista, sia quella parlamentare sia quella gruppettara. E quel passato pesa come un macigno, oggi: il far riferimento ad una ideologia politica fondata sulla creazione dell'Uomo Nuovo, del Mondo Nuovo, via abbattimento dell'esistente, è la premessa dello sfacelo di oggi. Mentre infatti ovunque altrove la sinistra accettava la responsabilità del governo, con tutto ciò che consegue necessariamente in termini di compromessi con la realtà, in Italia sognava - complessivamente - la rivoluzione. Anche lo stesso PCI, da un lato pragmaticamente accettava le briciole della spartizione elargite dalla DC e si acquattava negli spazi che gli venivano consentiti dalla democrazia liberale: una rete TV, il mondo dello spettacolo, il sindacato, le cooperative, dall'altra poteva - tenendosi alla larga dal governo - continuare a cullarsi con i suoi lontani orizzonti, il sol dell'avvenir, e a ninnarci il suo elettorato. Orizzonti tanto più certi quanto più lontani. Era, quella, una forma di compromesso che consentiva di rimandare a data da destinarsi il necessario confronto con la realtà del fallimento del modello socialista. Poi, nel 1989, la realta si è manifestata in modo in equivocabile - come è suo uso - lasciando i nostri con un bel paio di braghe al posto del rosso vessillo.

Oggi, quella sinistra lì, che ha il pregio di avere esercitato una sua qualche forma di politica, e di avere - se pur tardivamente - riconosciuto i suoi errori, è divisa tra la vergogna di se' e l'incapacità e la disabitudine a prendere in mano il potere e gestirlo. Prova a fare politica ma non ci riesce, perchè insieme al bambino ha buttato l'acqua sporca: un contraltare al partito di Berlusconi inefficace e inappetibile, anche se l'unico che abbiamo.

L'altra sinistra, quella gruppettara, invece, quella che di mediazioni e di compromessi non voleva neppure sentir parlare, quella che occupava i feudi delle scuole e delle università, e sognava la revolucion mentre confezionava molotov ed espropri proletari, oggi si è riversata in massa nel partito del non voto, o del voto-per-restare-all'-opposizione: magari ha tagliato barba e capelli ma è sempre la stessa: chi ha sempre considerato lo stato italiano, la costituzione, degli orpelli borghesi da abbattere con la rivoluzione proletaria, nel "non voto" si ritrova perfettamente a casuccia, anche se oggi invece delle molotov sfoggia un leggiadro ghigno di nonchalance, e magari una splendida cravatta regimental.

Chi è al governo militarizza la scuola? E chissenefrega? Lo stato borghese è da abbattere, non si può sanare. Simboli dei partiti nelle istituzioni? Chissenefrega, la costituzione è una farloccata nata da un lurido compromesso con i cattolici, che vada a farsi fottere. L'università sta per chiudere? Chissenefotte, morte allo stato borghese e alle sue istituzioni...

Cari buoni vecchi trinariciuti di una volta, avrete tagliato la barba e vuotato le bottigliucce di benzina, ma continuate a godere del tanto peggio tanto meglio, continuate ad applaudire alle macerie dello "stato borghese": sotto vostra la cravatta regimental batte un cuoricino molto radical, anche se tutto sommato assai poco chic.

la macellaia in grembiulino

Nahum, sententosi evidentemente chiamato in causa dalla mia invettiva, risponde consigliandomi un libro. Non è cattiva volontà, che non sia corsa a comprarlo - e prometto che lo farò appena ne avrò tempo e voglia. Mi pare però che la sua risposta rappresenti molto bene la curiosa tendenza ad appiattire tutto nello slogan, assai caro al partito della pagnotta, che recita "i politici sono tutti uguali". Per lui, così dice, Gelmini e Berlinguer pari sono.
So che la riforma Berlinguer (quella universitaria, che quella delle superiori non è mai stata fatta) non è piaciuta a molti di quelli che nella scuola ci lavorano; chiarisco subito che ne parlo da profana.
Non mi interessano minimamente le critiche di "anglofilia": copiare, imitare, è una delle facoltà umane migliori e più paganti, e i vantaggi di quella riforma non sono inesistentti : adeguare l'università italiana agli standard europei - favorendo una maggiore circolazione degli studenti - riempire un gap statistico con i paesi che avendo la laurea breve hanno un gran numero di laureati in più, e creare una tappa intermedia per evitare l'abbandono scolastico. Mi dice, chi nell'università ci lavora, che la riforma ha creato una pletora di laureette incapaci da una parte di formare delle professionalità spendibili e dall'altra non sufficientemente approfondite da essere culturalmente formative: è possibile, è probabile, non discuto: tra pregi e difetti della riforma, probabilmente c'è molto da rivedere.
Quello che mi pare invece non solo discutibile, ma bizzarro e direi quasi mostruoso, è citare quella riforma discutibile per avvicinarla alla mannaia Gelmini.
Iniziamo col dire che il termine "riforma" applicato alla Gelmini ha - come tante altri italiche questione - una sfumatura di ipocrisia copiata dal linguaggio aziendale. Come tante "ristrutturazioni" societarie, il suo scopo è infatti realizzare un consistente risparmo sfoltendo il personale. So benissimo che l'esigenza del risparmio non è affatto secondaria o trascurabile, infatti la riforma Berlinguer - soprattutto quella delle superiori - ne aveva tenuto conto eccome. Ma ne aveva tenuto conto all'interno di una ristrutturazione del sistema organica. Gelmini invece taglia alla dove viene e senza alcun criterio: nei cicli inferiori affolla le classi, toglie insegnanti di sostegno, toglie il tempo pieno: all'università blocca il turn over dei professori, accorpa facoltà più o meno a casaccio e toglie ogni senso a chi - sperando nella carriera universitaria - si ritrova ad avere un lavoro malpagato, precario e senza sbocco. Naturalmente, questa "riforma" è accompagnata - comme d'abitude - da una fanfara di intollerabile propaganda. Da una parte Gelmini evoca incessantemente l'ignominia del diciotto garantito - slogan vetusto riesumato come uno zombie dalle antiche manifestazioni di piazza sessantottine, e che nessuno si sogna oggi di tenere nella benchè minima considerazione - dall'altra millanta una nuova era di meritocrazia e di disciplina. La sua riforma si può sintizzare in "la mannaia più il ritorno al grembiulino". Tutto questo condito da micro iniziative (costose, inutili, incostituzionali e schifosine) per molcire quei preti e quei fascisti che danno il "contenuto" ideale ad un governo altrimenti concentrato su faccende poco pertinenti la gestione della cosa pubblica.
Ora, la riforma Berlinguer è meravigliosamente criticabile: come tutto ciò che è fatto di qualcosa, può esssere discusso, criticato, aggiustato e all'occorrenza mutato. Le operazioni della Gelmini invece sono un massacro, la nullificazione organizzata - ma col vestito della festa - e la propaganda, oltre a fare la sirena incantatrice, ha la caratteristica di non poter essere discussa: se non sei con noi, con il nostro "popolo" come dice Berlusconi, che dopo aver saturato le metafore calcistiche approda su quelle etniche, non puoi che essere un lurido sessantottino favorevole al diciotto garantito, fine del dibattito.
E il nulla avanza, tra i loro applausi e il vostro silenzio.

venerdì 24 settembre 2010

una piccola invettiva, ma piena di furore

Ecco, sono in molti in questo paese ad apprezzare i corsi di sopravvivenza nelle scuole e a fottersene allegramente se non si fa lezione e le università rischiano di chiudere: sono in molti ad apprezzare questa miscela di fascismo, coattaggine e menefreghismo italiano che è ben rappresentato da Gelmini, La Russa, Tremonti.
Non è a loro, che si rivolge la mia invettiva, perchè loro stanno avendo esattamente quello che vogliono e per cui hanno votato: si rivolge a tutti coloro - moltissimi - che pur trovando insensato tutto questo hanno lasciato che accadesse: stiamo pagando cara la vostra purezza, la vostra coscienza linda, il vostro odio per i compromessi, il vostro carrierismo, la vostra incapacità politica. Voi che per abbandonare il centralismo democratico - perchè ve lo chiedeva il vostro nemico - avete creato un partito senza testa, voi che o il bipolarismo o niente, voi che o il proporzionale o niente, voi che non rinunciate al sol dell'avvenire e nessun partito è abbastanza di sinistra, e voi che l'unico partito che poteva farcela non lo avete votato, perchè non era abbastanza carino e/o di sinistra e/o di destra, perchè era troppo socialdemocratico, perchè era troppo poco socialdemocratico, e perchè pensate davvero - ma sul serio e senza sentirvi ridicoli - che la vostra coscienza valga più della più grande università d'Europa.
Pagherete anche voi, questo sfascio, e quando il fondo sarà toccato cercherete di farci dimenticare la vostra complicità , la vostra indifferenza e la vostra inanità, ma saperlo non è una consolazione.

Al Quaeda

Su In Minoranza (bentornato!), una analisi interessante sulla modernità di Al Quaeda.

sabato 18 settembre 2010

uomini e polli

Tendo a credere ai profeti del picco, non per millenarismo congenito ma perchè ho l'impressione che gli argomenti di chi il picco lo nega siano molto deboli: uno scherno un po' arrogante unito ad una fiducia illimitata in un progresso tecnologico che allo stadio attuale però non pare aver prodotto nulla di lontanamente paragonabile alla manna petrolifera che ha reso possibile il nostro benessere diffuso. E tendo a crederci anche perchè penso che un assaggio del'orrendo pastone sia già l'attualità, dai casini per la trivellazione troppo profonda alle guerre nel medio oriente.
Un blog, sul sito di Le Monde (hat tip: Petrolio) intervista Robert Hirsh, un ex responsabile della ricerca sui carburanti di sintesi della exxon, a proposito della scarsa informazione, della censura, che ci sarebbe intorno al problema ormai maturo per esplodere. Sulla opportunità, e soprattutto sulla praticabilità del diffondere informazioni sulla questione ho più dubbi che certezze, però. Se se ne parla in termini (forse correttamente) catastrofici, non si fa che anticipare il momento del crollo ed è una responsabilità che nessun politico vuole prendersi, se se ne parla in termini blandi l'effetto sarà nullo: la gente mediamente non è disposta prendere misure serie di risparmio energetico e contenimento dei consumi. La zona sotto il vesuvio è abitatissima, e nessuno pensa a sgombrare S. Francisco o Messina, in vista del Big One. Temo che l'umanità nel complesso non sia adatta a gestire previsioni ma solo ad affrontare emergenze. Come diceva il (purtroppo) geniale Celine, l'uomo è intelligente come la gallina è un volatile.

giovedì 16 settembre 2010

Sarkosì e kosà

Vignetta di Leo Ortolani, via GDR online

Agli insulti del commissario Europeo, che ha accusato il premier francese di usare gli stessi sistemi contro gli zingari in voga nella seconda guerra mondiale, Sarkozy astutamente risponde "Prendeteveli voi gli zingari", che è un po' la risposta standard di tutti quelli favorevoli alle deportazioni.

Ora - premesso che Francia odierna ben poco ricorda il terzo Reich - una breve considerazione la farei. La sagace risposta del premier francese tradisce il problema: gli zingari cacciati dalla Francia, infatti...sono andati in Spagna: in poche parole, se i Rom sono un problema, Sarkò l'ha semplicemente scaricato a qualcun altro. Questo riporta la questione nei termini un po' più corretti: noi che siamo favorevoli alla legalità e all'integrazione, a sborsare grana perchè i campi siano decenti e a mandare i bambini rom a scuola a calci in culo - noi che siamo ostinatamente convinti che le deportazioni non siano una soluzione - di solito siamo ricoperti di pernacchie: ci viene chiesto il 740 e se guadagnamo più di 12.000 euro l'anno siamo bollati come intollerabili radical chic: riccastri ipocriti che mentre nuotano nei dollari come Paperone impongono ai poveri proletari la presenza di un popolo di straccioni, sardonico e testardo, che di integrarsi non ha alcuna intenzione.
Perfetto, voi che radical chic non siete, voi che siete proletari veri, uomini cazzuti e nerboruti e con le mani sporche di terra, voi che avete appena levato gli occhi dalla catena di montaggio per incidere sulla bloggosfera la vostra rabbia fieramente nazional-popolare, di quale soluzione parlate, di grazia, quando plaudite alla deportazione dalla Francia alla Spagna?

lunedì 13 settembre 2010

adieu ataturk, adieu montesquieu

Non so se la Turchia sia oggi più vicina o più lontana a una Europa che comunque sembra divisa tra chi non vuole quel paese perchè i diritti umani e chi non lo vuole perchè l'Islam.
Il "pacchetto" del referendum sembra ben confezionato, non lo nego ma temo che contenga più di uno specchietto per le allodole: più democrazia, più diritti alle donne, la privacy e quant'altro.
Sarò militarista e antidemocratica, ma io salti di gioia ne faccio pochi, e non solo per il rischio di perdere l'unico paese a maggioranza mussulmana alleato ad Israele.
Quel paese era lì a dirci che la "laicità" sarà anche nata con il cristianesimo ma che è uno strumento universale, a disposizione dell'umanità intera e che anche in un paese a maggioranza mussulmana la teocrazia non è un destino. Se la Turchia, con tutte le sue beghe, ha avuto uno sviluppo politico, economico e culturale notevole, è perchè ha sviluppato una sua peculiare via - non sempre simpatica ma efficace - per tenere i preti fuori dai piedi. Sarà tranchant e poco argomentato, ma è quello che penso.
Inoltre non posso fare a meno di chiedermi se la tendenza - un po'ovunque (e certamente in Italia) di minare il principio di suddivisione dei poteri in nome della democrazia non apra la strada ad un futuro di democrazie populiste, fondate non su complessi sistemi di pesi e contrappesi a fondamento di solide costituzioni ma - come molte dittature popolari - tra cui il fascismo - sul carisma del leader e sul controllo dei mezzi di comunicazione.
Adieu Ataturk, e quel che è grave: adieu Montesquieu.

sabato 11 settembre 2010

circolarità

Certo che la rassegna stampa la mattina può essere davvero divertente. Sono giorni che sento - tanto sulla stampa internazionale quanto quella italiana - titoloni cubitali con vibrate denunce del mentecatto anglicano. Stamattina i titoli (tutti) sono: come è stato possibile che un povero mentecatto per giorni e giorni abbia monopolizzato i titoli di tutti i giornali?

venerdì 10 settembre 2010

piccoli antimperialisti piangono

A quanto pare il povero Chavez è rimasto orfano.

E anche il buon Adma non sarà contento, di veder vacillare la fragile alleanza antimperialista, vista la dichiarazione di Castro:

"Gli ebrei vengono diffamati da oltre duemila anni. L'Iran dovrebbe capire che il popolo ebraico sopravvissuto grazie alla sua religione e alla sua cultura, è stato cacciato dalla sua terra e perseguitato in modo terribile in tutto il mondo e per tutto questo tempo".

Tutto si può dire, tranne che il periodo non sia denso di sorprese.

giovedì 9 settembre 2010

benza sul fuoco. aggratis.

Credo che non ci sia evento al mondo in grado festeggiare con più efficacia il crollo delle due torri (altro che commemorare le vittime) di un prete che organizza un rito bruciando pubblicamente il libro sacro di un'altra religione.
Ciò detto mi rimane difficile capire perchè l'idea incendiaria di un idiota qualsiasi, che in questi ultimi anni ha visto sfoltire la sua parrocca o diocesi (o quello che cazzo hanno gli evangelici) fino ad arrivare ad avere un gregge di non più di una cinquantina di pecorelle (nere, sia chiaro) possa nel giro di niente diventare tema di turbativa globale, tra dichiarazioni preoccupate e di condanna dell'onu, della Santa Sede, e del Dipartimento di Stato americano, nonchè lividi mugugni della stampa araba e manifestazioni di indignazione.


Disegno di Roland Topor