domenica 2 settembre 2007

l'assioma del burattinaio

E' un po' un automatismo, diciamocelo, pensare al burattinaio.
E non sto neppure parlando del complottismo, ad esempio di quella paradossale leggenda talmente fascinosa nel suo cretinismo che è stata capace di convincere pure persone del calibro di Helmut Schmidt all'idea che la CIA abbia nottetempo forato i muri del WTC per imbottirli di esplosivo (facendo trovare tutto pulito il mattino dopo) e abbia mandato nelle torri degli aerei telecomandati.
Tutto questo al solo scopo di riprendere una guerra abbandonata - volontariamente - dieci anni prima, e perderla.
No, parlo di una forma diversa - meno palesemente ingenua e al tempo stesso ancora più diffusa - del burattinaismo.
Dicono - ad esempio - i difensori ad oltranza del velo che commentano questo post di Falecio che "anche noi siamo condizionati nel vestire".
Io posso capire che chi lo sostiene senta un impulso irrefrenabile a lisciarsi i capelli e/o a comprare una borsa di Prada, ne' stigmatizzo tali comportamenti, e men che meno le orecchie forate, i maglioni di missoni, le ciabatte di plastica coi buchi, ma da qui a vedere all'azione un burattinaio mi pare veramente paradossale.
E' - anzi - lo stesso pensare che la cascata caotica dell'imitazione, a volte con un una ridda di input contraddittori dall'alto, a volte con moto del tutto orizzontale, e comunque non frenata da proibizioni religiose o sociali, sia "guidata" che ci rende burattini.
Siamo burattini tanto più quanto riteniamo di esserlo.
Gli obesi suicidi, o le anoressiche esangui, sono secondo me vittime soprattutto della perduta capacità di riconoscere il proprio libero arbitrio.

Chi è che guida i giocatori compulsivi?

E persino il mio altrimenti amatissimo Mastroviti, quando stigmatizza con un certo scandalo (e con successo) le lacrime degli inglesi per la Principessa delle Principesse, mi sembra cadere nello stesso buffo errore.
Il marketing? Ma quale, marketing, di chi?
La Principessa ha annientato tutti, dalla povera antipatica regina, all'imbarazzato Blair: Diana aveva un carisma - a me invisibile (ma non mi piace neppure Brad Pitt) che non aveva nulla di studiato, di organizzato, e che - come le borse che crollano su loro stesse per l'effetto farfalla - si autoalimentava senza sosta e senza motivo.
Diana era come re Mida, era magica, ed è riuscita - incredibile! - persino a morire, in modo leggendario.
Ecco, a me quella fanciulla un po' molle eppure rigida, sentimentale e orgogliosa, non ha mai affascinato, in se': ma ha sempre affascinato straordinariamente come fenomeno, proprio per la sua persistenza e inspiegabilità, che nulla ha a che vedere con il puro e semplice "marketing".

O forse - anzi, più probabilmente, come mi porta a riflettere una conversazione con una amica - Diana ha vinto perché le icone della regina brutta e cattiva, del marito sciocco e infedele, e della bella e buona principessa - ruoli interpretati magistralmente da tutti gli attori sul palcoscenico - sono solide, diffuse e preesistenti a qualsiasi "operazione di marketing".
E Diana il ruolo l'ha recitato fino in fondo - e talvolta suo malgrado: dalla sua diafana bellezza, alle sue smancerie verso i bimbi, alla sua incredibile morte.

Io credo, potrei sbagliarmi, che il nostro mondo - proprio perché poco guidato dall'alto, e molto guidato invece da impulsi, da imitazione, da creduloneria e da costellazioni di memi antichi e nuovi, tenda a vedere burattinai un po' ovunque proprio in virtù della loro macroscopica assenza.

10 commenti:

Anonimo ha detto...

Ieri ho comprato un libro della Piemme di nome Zero. E' un reading a cura di G.Chiesa sull'11/9 che dice testualmente che "la verità sull'11 settembre non la sapremo mai: non nei prossimi cent'anni almeno".
Affermazione ambigua.

In effetti è un libro che fa contenti tutti, i negazionisti in primo luogo, ma anche gli "affermazionisti" che vi troveranno materiale per indignarsi.

Ho cominciato aprendo a caso e mi sono letto il contributo di Lidia Ravera, tipico di una mentalità che si autoalimenta.

Dopo esser crollate a terra le torri ora crollano ancora piu' giu', dentro l'irrealtà ...

Psalvus

Rosa ha detto...

Sì, ho letto, e linkato l'articolo del corriere. Mi colpisce che siano in tanti a credere una cosa così grottesca.

MattBeck ha detto...

La società cui dobbiamo aspirare è una società che permetta l'espressione del libero arbitrio, un libero arbitrio ragionato e autocosciente, che faccia vivere la libertà personale nei limiti del rispetto della libertà altrui.

Ma la nostra società non è così, tanto più con un sistema politico come il nostro, dove i cittadini demandano il proprio potere politico a qualcun altro, che a sua vota è inquadrato e sottosta alle regole ed ai programmi di una organizzazione (partito o movimento).

E lo stesso partito può seguire una politica dettata tramite corruzione o compartecipazione azionaria o d'investimento ad un gruppo o a un sottogruppo di imprenditori o uomini d'affari.

L'arte di vendere è diventata quasi una scienza (marketing), fatta di esperti strapagati che si scervellano per incrementare le vendite di un prodotto.

Gli stimoli esterni dettati da economia di consumo e da partiti che vivono sempre di più per se stessi piuttosto che per condurre una politica nell'interesse generale influenzano la nostra coscienza: ciò è in qualche modo antropologicamente inevitabile, ma non permette una soddisfacente espressione/esaltazione della propria libertà personale.
Gli obblighi regolamentari sono pochi, ma esistono quelli socio-psicologici e molti non vogliono o possono rompere questi legami.

Rosa ha detto...

mattbeck: è proprio questo assioma che volevo mettere in discussione. Demandare alla società lo sviluppo e la conquista della propria libertà individuale mi sembra una totale contraddizione. La reazione al conformismo è una conquista individuale, e l'unico modo per mettere in condizione un individuo di ottenerla, è riconoscerne il libero arbitrio. Non è obbligatorio bere cocacola, vestire armani, mettersi l'orecchino, regalare ai propri figli la playstation o far loro fare la comunione per non farli sentire "diversi". Il conformismo non è inevitabile. E mi sembra una grossa conquista il fatto che la libertà sia "possibile", che non sia limitata con mezzi coercitivi ma con la seduzione. Paradossalmente, è proprio chi denuncia la seduttività della nostra società, a negare il libero arbitrio e ad auspicare regimi che limitino la libertà attraverso la coercizione.

Anonimo ha detto...

più che burattinai , vi sono gli speculatori .... in fondo l'uomo ha l'istinto della caccia ed un pollo è sempre un pollo

peccato che quasi nessuno se ne accorga :-(

Anonimo ha detto...

OT(?) a proposito di libertà e di marketing..... a Firenze dal 7 al 9 settembre vi sarà la terza edizione dell'editoria anarchica (odio abitare in un paesino meridionale sgrunt!!)


sabato 8 ci sarà almeno un titolo che potrebbe interessarti

ciao

p.s.
per tutti quelli che (come me) non potranno , qualcosa di area si trova qui:

http://www.socialismolibertario.it/profililib.htm

saluti

MattBeck ha detto...

Sì, Rosalux, è una conquista, vero.
E su questo ho insistito da Fal, nel post che linki.
Ma mi chiedo se esista una chiave per uno sviluppo autonomo e neutro il più possibile verso l'autocoscienza: una presa di coscienza che non va indirizzata politicamente (come volevano anche grandi pensatori comunisti come Gramsci) o religiosamente (come Lutero; non è un caso se fu la Svezia il primo paese della storia a battere l'analfabetismo di massa).

Esiste l'alfabetismo; esiste la stampa; esiste la libertà d'associazione: ma esistono nuovi vincoli (magari né pensati né preordinati da nessuno) dai quali non ci si vuole o può liberare.

Ma un forzoso atto di liberazione (o presunto tale) sarebbe a sua volta una violenza, un atto esterno alla volontà della persona "incatenata".

Da una parte il pensiero liberale (nella sua visione più aperta) può apparire troppo moderato, perché necessità di tempi lunghi in un'epoca sentita come d'emergenza; dall'altra il pensiero comunista (anche quando non dogmatico e fideista e dunque autenticamente marxista) tende sempre a proporre manovre incisive che però potrebbero ingessare la società, che è viva e vitale anche perché (si) dibatte, produce, trasferisce, accumula, disperde, si dilania.

L'idea bicchiere mezzo pieno mezzo vuoto versus l'idea tutto e subito.

Anonimo ha detto...

Innanzitutto tengo a chiarire che io non difendo il velo. Il mio atteggiamento è pari a colui che dice: chi è senza peccato scagli la prima pietra. Sono irpina e sono donna, il che significa: vita difficile se non infernale!
Mia madre mi racconta spesso che negli anni '70, in piena contestazione, l'Irpinia viveva ancora il suo medioevo. Se una donna scopriva il GOMITO, ripeto, il GOMITO, veniva lanciata contro di lei ogni sorta di maledizione, bestemmia anatema. E mi fanno RIDERE gli occidentali che massacrano le proprie donne e poi vanno a portare l'emancipazione e la civiltà a suon di bombe: mi fanno RIDERE! di rabbia!
Ora, non parlo di burattinaio, parlo delle donne irpine che ancora oggi portano "lo maccaturo" che è un velo. Mia madre non lo porta solo perché è emigrata in Germania.
E allora, chi IGNORA lo stato delle cose, e delle donne italiane: STIA ZITTO!

Anonimo ha detto...

Poi, posso parlare anche dei condizionamenti subliminali. Potrei scriversi un saggio, e dimostrerei che la libertà occidentale è tutta da verificare: è un'illusione.
E cade miseramente proprio in un punto in cui non dovrebbe cadere: il quotidiano.

LUVAZ ha detto...

Che si creda o no alla tesi del complotto non si può non credere che la CIA non abbia fatto bene il suo lavoro per evitare l'11/9.
Il problema non è se siamo liberi di decidere senza alcun condizionamento esterno se comprare quel prodotto piuttosto che un altro. senza scomodare le teorie di marketing strategico e operativo, il problema è la coscienza critica. Quanti sono veramente capaci oggi di scegliere criticamante, di fare la scelta giusta liberi da ogni condizionamento psicologico? A cosa siamo abituati in una società capitalista se non al consumismo e all'acquisto coatto di determinati prodotti non necessariamente di una determinata marca. Per esempio l'automobile: perchè dobbiamo possedere per forza un auto per essere indipendenti e muoversi all'interno di una città ( come la mia napoli)senza la preoccupazione di perdere l'ultimo treno della metro o di aspettare dopo mezzanotte quel notturno previsto ogni ora e 20 minuti?Nelle ex repubbliche socialiste il sistema dei trasporti (e ancora oggi lo è) era eccellente da questo punto di vista.Dava la possibilità a chi non la possedeva di scegliere di muoversi liberamente con i mezzi pubblici. Non nego la possibilità di acquistare l'auto di qualsiasi cilindrata a chiunque ma vorrei che il sistemna mi desse la possibilità di scegliere di non comprarla!