giovedì 8 giugno 2006

Apocalypse now [vecchi film]

A me veramente il film non era piaciuto, ma questa recensione - che ricevo e volentieri pubblico - sì, e mi gusta l'idea di recensire vecchi film sul RLB.

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Di Cap. Ripley


Apocalypse Now.

O meglio Apocalipsi nau, regia di Francis Ford Coppola. Musiche dei *Doors*. Come diceva Fiabeschi,uscito dal pennarello santo di Andrea Pazienza.

Apocalipsi nau comincia proprio con una fine: quella dei Doors, appunto. Cantata da un Jim Morrison morto da otto anni, e riarrangiata a botte di elicotteri da Coppola. Memore, probabilmente, dei vecchi tempi all’UCLA, tanto da capire che sì – alla fine – Kurtz e Morrison dicevano grosso modo la stessa cosa.

Inspirato a Conrad – e assolutamente fedele allo spirito di “Heart of Darkness” – con licenze che spostano il Congo nel Vietnam, l’irrequietezza di Marlow alla disillusione del capitano Willard, le compagnie coloniali europee a quelle americane.

Intatte restano le motivazioni per l’omicidio e il sopruso, intatta resta la discesa in quel confine indefinibile tra la follia e l’istinto. Intatto resta il senso.

Nel frattempo, dove da una parte ci sono colonizzatori preoccupati di quel che diavolo sta accadendo sul finire del fiume Congo, dall’altra ci sono generali preoccupati di quel che diavolo sta accadendo sul fiume Nha Trang.

La preoccupazione è la stessa: la perdita del controllo.

Quel che entrambi i protagonisti (del libro e del film) impareranno, è che si può rimanere succubi di questa fascinazione, che la perdita del controllo contiene una sua logica, anche se porta all’orrore. E questo orrore non perde di fascinazione.

Coppola resta fedele a un libro che non parla di guerra, mettendo in scena il Vietnam, con le sue efferatezze, e con un senso di smarrimento e realismo che non si era mai visto prima.

Si dovrà aspettare i primi venti minuti di “Salvate il soldato Ryan” di Spielberg per avere la stessa idea di inadeguatezza e caos. Neppure Kubrick c’è riuscito, con il suo tentativo di spiegare sempre - e comunque - in maniera netta e precisa, la guerra.

Ma la guerra, in Apocalypse Now non è precisa e non è netta, come probabilmente non è nella realtà. I campi di battaglia sono improvvisi, confusi, sconvolgenti sia quando hanno pretese geometriche wagneriane, sia quando appaiono bardate a festa nella notte, tra gli spari, nel fiume.

Realismo nella confusione continua nelle azioni, nella follia lucida del tenente colonnello Kilgore che surfa su un campo di battaglia, ed è a un passo da Kurtz - a un passo solo - mentre col suo cappellaccio in testa dichiara che il napalm al mattino profuma di vittoria. E’ già quasi un dio pagano, se non per quell’amor proprio e per gli altri, che gli fa ancora considerare i suoi soldati e i suoi nemici “persone” e non “fedeli”.

A un passo solo è Willard, che si lascia incatenare più dalla situazione che dalle sbarre, che sopporta la morte barbara di chi lo traghetta – uno dopo l’altro – verso la voce spietata di Kurtz. A quella faccia sempre mascherata - dalle luci radenti di Storaro o dalle pitture tribali – che però dice la verità e odia la menzogna.

A un passo o forse oltre, il film non lo dice, e neppure il libro.

Un atto di carità o più probabilmente di umanità, permette a Marlow di passare una mano sugli occhi morenti del Kurtz letterario, di portarsi via con sé l’unico superstite del naviglio, per quel che riguarda il capitano Willard.

E sia per Marlow che per Willard la via del ritorno è incerta, perché hanno capito cosa significa essere selvaggi, o forse Dei. La linea è sottile.

C’è l’orrore dall’altra parte, o la fine. Come dicevano i Doors.

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