Rispondo qui al commento di Dacia Valent, sul post "Due parole sui miei avi cannibali".
Parto un po' da lontano, spero di non dilungarmi troppo.
Nei miei scarsi, pigri e inconcludenti studi universitari, preparando l'esame di antropologia culturale ho studiato Alfred Kroeber. Non so se sia superato, è possibile, ma il punto di vista che esprime ne "la natura della cultura" è stato abbastanza strutturante, per me. L'approccio - il "metodo" - scientifico è unico, ed è interdisciplinare, come giustamente sosterrebbe Ipazia. La storia - dunque - è una "scienza" tanto quanto la fisica.
Sì.
Però anche no.
Kroeber (e spero che qualcuno mi contraddica argomentando, e in modo possibilmente didascalico - che se no non capisco) fa una specie di "piramide" delle varie discipline. Fisica, chimica, biologia, psichiatria/psicologia, sociologia, storia (le famose "scienze umane"). Ogni grado superiore si occupa di una sfera che in qualche modo è specifica, ma "contiene" tutte le altre. Ovviamente il grado di complessità è vieppiù intricato, tanto più ci si avvicina al vertice della piramide, perchè ogni disciplina ha il suo "specifico", ma però contiene anche il resto. I fenomeni fisici hanno una ricorrenza, una ciclicità, una prevedibilità che non è la stessa dei fenomeni biologici, per non parlare di quelli sociologici o storici. E le condizioni neutre, sterili, di "laboratorio" sono via via più difficili da ottenere quanto più ci si allontana dalla base. Dunque quando un sociologo, uno storico, un filosofo, dichiara di usare dei metodi "scientifici" può avere - di fatto - gradi assai diversi (e incontrollabili ai più) di truffaldinità. Quando uno storico, un filosofo, un sociologo, uno psicologo parlano di "ricerca scientifica", bisogna avere i piedi ben pronti a mollare calci nel culo. Avrà anche senso parlare di "scienza" storica, non dico di no, ma in campana. Se è doveroso applicare nei limiti del possibile il metodo, è altrettanto doveroso ammettere che le scienze umane sono un autentico bordello: diversi livelli interagiscono e la rete di interazioni è difficile da districare.
Dacia Valent si chiede se ascoltare me, o lo "scienziato" Toaff.
Un po' come chiedersi se ascoltare la voce del "cuore" o della "ragione", così parrebbe.
Ora supponiamo per un attimo che - in un ambiente ostile agli emigrati - diciamo pure tendenzialmente razzista, come - per esempio - il nostro, un tale prof. Mabutu, ricercatore sconosciuto di origine Keniota, biologo, se ne esca con uno studio sul rapporto tra africani della zona sarcazzo compresa tra chissenefotte e chissenefrega e "tendenze aggressive". Lo stupro, l'omicidio, chi nasce in quella zona lì ce l'ha proprio nel DNA.
Supponiamo che questa ricerca esca su un quotidiano, in doppio paginone centrale. "Gli africani e le tendenze omicide: come sopravvivere alle drammatiche condizioni equatoriali".
A quel punto Dacia Valent, e non solo lei, sicuramente, si farebbe due domande. Di certo (beh, chi può pensarlo, conoscendola) non direbbe "Beh, se la comunità scientifica dice così, chi sono io per contraddirla? " ritirandosi timidamente nel suo guscio di "non scienziata".
Perchè lo studio "scientifico" non assomiglierebbe proprio nulla ad un piccolo scambio tra eruditi entomologi: "sai, Marquez, ho scoperto che la cavolaia non mangia solo crocifere: in particolari condizioni mangia pure solanacee". Lo studio "scientifico" in questione, coinvolgerebbe testate nazionali, case editrici, perchè avrebbe un certo appetibile mercato, vastissimo, comprendente i vicini di casa di Dacia Valent, magari ossessionati dal sentirle usare i tacchi o ascoltare i Pink Floyd.
Il nostro Toaff ama immaginarsi come un entomologo, ma non è un entomologo. La gente purtroppo si intessa molto più degli ebrei, e dei negri, che delle cavolaie.
Ecco che la scientificità della ricerca, e la sua sensazionalizzazione, diventano ahimè dei temi di un certo peso, da indagare. Collaterali, sicuramente "non scientifici", ma di importanza estrema. Anche per chi - ahimè, come me - il titolo non ce l'ha.
E in questa catena, che poco riguarda il gruppo di entomologi che si ritrovano in quattro a sezionare insetti e riguarda invece le grandi questioni del nostro tempo, i direttori di giornali, gli editori, i ricercatori, non possono fingere ignorare la differenza che c'è tra il buttare in pasto una notizia con toni coloriti e sanguigni, e lo studiare un fenomeno peraltro dai contorni assai incerti come un "oggetto da laboratorio", nel concentrato silenzio della comunità scientifica, come pretenderebbe di fare il Toaff senza però soddisfarne di fatto le presuntuose premesse. Un direttore di giornale, un editore, hanno - sissignori - una responsabilità morale, perchè i rapporti - difficili e laboriosi e sofferti - tra vaticano ed ebrei - per esempio - esulano e trascendono le ricerche entomologiche della comunità scientifica, e la scienza - soprattutto quando è assai più presunta che reale - non è nessun totem a cui sacrificare l'umana convivenza. Chi parla della politica con disprezzo e della scienza con deferenza deve venire a discutere con me. E sto parlando del Lupo.
E a questo punto, se Dacia (o chi per lei) non ha ancora ascoltato Ariel Toaff alla radio (linkato nel mio post precedente), è pregato di farlo, e di valutare - con i miseri istinti di chi non ha i titoli - la scientificità dell'ipotesi. Io non sono una storica, ma per quel che vale il mio fiuto, sto tizio qui non mi pare punto un Watson e Crick della storia.