Sul blog In Minoranza Mastroviti commenta e traduce un articolo interessante a proposito del riconoscimento dei diritti collettivi, che in alcuni casi potrebbero essere lesivi dei diritti individuali.
Anche io sono sempre rimasta perplessa dal riconoscimento di un diritto esclusivamente ad un gruppo sociale: come può una azione essere considerata reato se commessa da taluni ed essere riconosciuta come diritto ad altri?
Sono però convinta che i relativisti culturali abbiano dalla loro dei solidi argomenti: ogni società proibisce e concede alcune cose ed altre no, e tirare una riga su quali diritti siano universali e quali particolari mi pare impresa più complicata di quello che a volte non tendano a fare gli anti-relativisti. Il coltello che incide la carne fa a tutti lo stesso male, il figlio ucciso distrugge qualsiasi madre o padre nello stesso modo, ma fatta questa prima scrematura, tolto l'essenziale, le cose si fanno più complesse. La poligamia e la monogamia ad esempio possono essere entrambe soluzioni vantaggiose, e sono effettivamente praticate anche dove non sono consentite, con conseguenze talora assai più gravi proprio per le donne che la subiscono. (curiosamente qualche giorno qualcuno mi ha postato - chissà perchè - un articolo di Lia di Haramlik sulla poligamia, a commento del post le teorie-bastone con cui - una volta tanto - non sono in totale disaccordo)
Secondo alcuni psicologi evoluzionisti la poligamia - in effetti - non sarebbe così svantaggiosa per le donne. E' - dal punto di vista economico - una pratica classista ma solo nei confronti dei maschi: solo quelli più ricchi infatti possono permettersi molte mogli, mentre i più poveri - essendo la popolazione maschile più o meno pari a quella femminile, ne resteranno privi. Dal punto di vista femminile - invece - è redistributiva: i più ricchi distribuiscono i loro beni tra diverse donne, e le altre si accontentano di un matrimonio monogamo. Solo alcuni maschi resteranno con le pive nel sacco, non riuscendo a riprodursi affatto.
E' chiaro che l'evoluzionista valuta il vantaggio o lo svantaggio da un punto di vista esclusivamente genetico, che a noi interessa poco o nulla: molte donne potrebbero non essere - e in effetti non sono - affatto felici di condividere istituzionalmente il proprio uomo con altre, tuttavia occorre proprio affrontare la questione con una proibizione? Non sarebbe ovviabile rendendo obbligatorio dichiarare la propria disponibilità ad un eventuale matrimonio poligamo all'atto delle nozze?
Io credo che sia buona cosa limitare l'antirelativismo al sangue, al dolore e alla sofferenza: cercare cioè di diffondere al massimo una base molto scarna ed essenziale di diritti umani: a spingersi più in là ci si avvicina pericolosamente al sior Ratzinger e a Marcello Pera, antirelativisti accaniti, in compagnia dei quali personalmente mi sento assai a disagio.
martedì 16 maggio 2006
antirelativista? relativamente
Pubblicato da Rosa alle 15:41
Etichette: relativismo, speculazzate
Iscriviti a:
Commenti sul post (Atom)
9 commenti:
Io credo che esista un solo principio assoluto che non può essere negato e sul quale si possono fondare gli altri: la vita! Tutto il resto è storicamente condizionato. Essere a conoscenza di ciò non ci autorizza ad essere relativisti e quindi non dare valore a nulla, ma significa essere coscienti che una legge è legale, ma non necessariamente giusta
Se pensi che per Razinger la vita di una morula in un vetrino vale tanto quanto quella di un bambino, posizione che io trovo non solo non condivisibile ma oscenamente immorale, ti rendi conto che stabilire un corpus di principi sia pur minimi, sia pur essenziali, da considerare universali è una battaglia culturale complessa e l'uso dell'accetta non giova.
Che dire, Rosa?
La poligamia nel mio post, forse e' il caso di dirlo esplicitamente, era solo un esempio: un esempio di come il riconoscimento di diritti di gruppo possa creare piu' problemi di quelli che (forse) risolve. Sulla poligamia in se', io per me sono contrario (e' gia' tosta da sopportare una moglie sola, figuriamoci), ma non mi sognerei mai di imporre limiti per legge ad altri.
Il mio problema non e' vietare o non vietare: e' il sostituire ai diritti individuali i diritti di gruppo, e il tema dell'articolo che citavo era proprio quello, il fatto che il multiculturalismo come viene inteso oggi a occidente e' sempre piu' spesso un tentativo di rimpiazzare l'identita' di classe, o di genere, o individuale, con l'identita' di gruppo come quanto di interazione sociale. Cosa che fra l'altro a me, per qualche motivo, puzza di razzismo imbellettato, ma la storia si fa lunga.
Non sono un antirelativista alla Pera o alla Palpatine/Ratzinger - anche a me certe compagnie fanno un certo ribrezzo, caso mai ci fossero dubbi; ma credo che nella nostra societa' dovremmo trovare il modo di garantire gli individui abbastanza da non aver bisogno di rinchiuderli in riserve indiane culturali e tagliare con l'accetta regole di comportamento diverse per ogni riserva, fregandocene di quello che succede al suo interno.
Non so: concordo con dare la priorità ai diritti individuali rispetto a quelli collettivi. Ma dove i secondi non ledono i primi? Che problema c'è a consentire al vigile sikh un turbante, quando il non consentirlo lo escluderebbe da quel lavoro? Mi pare che una posizione troppo nettamente antirelativista sia speculare a quella relativista: il relativista vuole consentire l'infibulazione così come il turbante, l'antirelativista vuole proibirli entrambi, ma infibulazione e turbante non sono punto la stessa cosa.
La fonte è Repubblica di lunedì scorso metà pagina con un intervista a Diliberto!
il titolo lo puoi trovare qui tra tutti i titoli dei giornali http://www.lamescolanza.com/Giornali=2006/52006/I_GIORNALI=1552006.htm
o ancora se ne parla in un'articolo online del quotidiano IL GIORNALE tra le varie cose http://www.ilgiornale.it/a.pic1?ID=89754
Scusa se ho scritto qui con cose non inerenti al dibattito non sapevo dove rintracciarti
Scusami, mi sembrava che quella parte fosse ovvia: il turbante dei sikh non lede nessun diritto individuale, e infatti nessuno si e' mai sognato di opporvisi.
Il problema per esempio nasce con lo chador a scuola - ho scritto un post a questo proposito qualche tempo fa, non so se l'hai letto. Li', come, pare, in Francia, molte ragazze musulmane sono contrarie a questo diritto di gruppo, che apparentemente non farebbe male a nessuno, perche' rende loro piu' difficile opporsi a certe imposizioni all'interno della famiglia; e torniamo al punto di prima, la perdita dell'identita' di genere a favore dell'identita' di gruppo.
Insomma, io non dico che i diritti di gruppo non devono esistere: solo che prima di istituzionalizzarli, dobbiamo stare molto, molto attenti a capire come influenzerebbero i rapporti all'interno del gruppo - che il riconoscimento di un diritto non comporti la repressione di altri.
Mi pare difficile dimostrare che esista una differenza tra il velo e il turbante, e se vieti l'uno devi proibire anche l'altro.
Inoltre tu non ti occupi del genitore che proibisce alla figlia la minigonna, invece i diritti della ragazza a cui è prescritto il velo ti sembrano importanti.
Non sono sicura che queste questioni valgano una battaglia culturale.
Beh, quello è un altro discorso, ed è delicatissimo. E' uno dei pochi punti in cui non ho le idee ben chiare. Tuttavia io sono per la garanzia della vita dell'individuo adulto: un criterio di scelta c'é
Quindi tu in nome del relativismo culturale renderesti legale l'infibulazione?
Posta un commento