venerdì 5 maggio 2006

le teorie-bastone

La posizione di Haramlik sugli attentati di Dahab non meriterebbe grossi commenti, se non fosse che trovo affascinante osservare non tanto le "teorie" ma l'incredibile necessità umana - cui nessuno sfugge - di appoggirvisi come ad un bastone.
In questo senso le teorie dietrologiche sono una fonte interessantissima ed estremente fertile cui attingere per osservare la capacità della mente umana di plagiare la realtà all'ideologia e financo all'ego di chi le formula.

Ed è curioso osservare quanto un modo di pensare tanto palesemente primitivo abbia - a dispetto di ogni logica - un buon successo.

La bizzarra teoria di Lia di Haramlik (http://www.ilcircolo.net/lia/) su Dahab in soldoni è la seguente: quelle bombe non possono essere state messe da integralisti islamici (beduini o meno, non ha importanza) , perchè Dahab - diversamente da Sharm - accoglie un turismo radical chic, fatto di piccoli alberghi, tavolini bassi e cuscinoni.
Ergo, o sono state messe dal governo, o dai soliti israeliani.

E' piuttosto difficile - almeno per me - immaginare un integralista islamico a piacere, da Al Zarqawi al fu Jassin passando per quel buontempone di Admadinejad, che scelga di uccidere chi indossa Armani e accolga come un fratello chi indossa un pareo afro e fa il nudista sulla spiaggia: questo discrimine di classe, o meglio ancora di stile, mi pare che poco e nulla abbia a che vedere con gli obiettivi degli islamisti e la loro ideologia.

D'altra parte, come tanti, Lia deve conciliare la comprensione verso l'atto terroristico con la paura che esso suscita a lei, personalmente. Quando le vittime sono gli altri, grassi signori col naso impomatato e il berretto con la visiera, macchina nikon al collo e bragoni a scacchi (che il turismo di Sharm non è poi così "di classe" come vorrebbe dare ad intendere), la loro morte è compatibile con l'eroismo suicida, quando le vittima assomigliano a lei, bisogna per forza escluderlo.

E infatti Lia scrive:

"Non colpisci il turismo, a Dahab. Non dove sono esplose le bombe.
Colpisci la gente."


Eggià. I turisti a quanto pare non sono gente.

E' una curiosa contraddizione, che ho già osservato: le persone che hanno applaudito all'attentato alle torri sono le stesse che poi hanno elaborato teorie dietrologiche per scagionarne gli autori.

Come ogni buona teoria dietrologica che si rispetti, anche quella di Lia deve essere fondata sul cui prodest: per i teorici del complotto il movente è prova, e il movente naturalmente deve essere il più nascosto e contorto possibile e soprattutto deve soddisfare non già le premesse della realtà ma quelle della visione manichea di chi la formula.

Nel nostro caso, Lia elabora più di una ipotesi: la prima è davvero delirante. Scrive:

"Io non lo escludo, però: se tutto il terreno edificabile di Dahab è del figlio di Mubarak, se Dahab come è oggi ne impedisce lo sfruttamento, se i venti di guerra lasciano prevedere che i progetti di espansione turistica vanno fatti sul medio periodo e non sul breve, se la carriera politica del giovane Mubarak appare sempre più impossibile e sarà meglio che pensi agli affari finché può e se il personaggio stesso ha la reputazione che ha, mi spieghi come fai ad escludere a priori che ci possa essere un movente economico, dietro a questa storia?"


Secondo questa prima ipotesi dunque sarebbe la famiglia Mubarak che tenta di mettere in fuga i frikkettoni per sviluppare - nel tempo - un turismo più ricco, come se gli attentati spaventassero selettivamente alcuni turisti e ne attraessero altri.

La seconda ipotesi è una più o meno fumosa "strategia della tensione", che consentirebbe a Mubarak di mettere in pratica una politica repressiva e rallentare il corso delle riforme.
Come? Ma è ovvio: bombardando i frikkettoni.

Io sono dell'idea che il movente sia un indizio e non una prova, e ritengo che i moventi palesi siano da valutare prima di quelli contorti e nascosti.
Sarei curiosa di sapere quanti di quelli che avevano preventivato una vacanza nel Sinai quest'estate hanno confermato la loro prenotazione - dopo Dahab - radical chic o pariolini.

E il successo degli attentati di Dahab sarà valutabile dagli estratti conto degli alberghi del Sinai, quest'estate.

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  • 5 commenti:

    Anonimo ha detto...

    oggi dopo gli spaghetti alla "sangiuvanniello" ho mangiato molti post del tuo blog.
    Davvero un buon pranzo. :-)

    ora un caffè forte e LIBRI (sigh!!)

    ciao

    Rosa ha detto...

    Grazie! :-)

    Palmiro Pangloss ha detto...

    Dal blog di Lia: "Io non amo molto la dietrologia, mi infastidisce."...

    meinong ha detto...

    Personalmente penso che le teorie dietrologiche non sempre siano vere, ma in qualche caso sì.
    Penso anche che il fondamentalismo islamico sia un prodotto della politica occidentale.
    E penso che coloro che hanno potere (e che non sono molti) non si sdegnano particolarmente per gli attentati di Dahab. E forse sanno su di essi cose che noi non sappiamo. Credo che la dietrologia sia un esercizio utile : perchè fa svanire lo sdegno da lettura del rotocalco, e fa pensare alle relazioni, alle omissioni, ai collegamenti. Sicuramente ci consente di non stare davanti al televisore a proiettare le nostre emozioni. Ci costringe a pensare, a come funziona il mondo. La dietrologia sarà sbagliata, ma l'apparenza se è vera, lo è per puro caso. Mentre da essa ci si ostina a dedurre, a valutare.
    La dietrologia è per una mente critica quello che Mefistofele è per Faust.
    E dobbiamo sempre ascoltarla (magari non condividendola), altrimenti va pure a finire che Noske non c'entra niente con la morta di Rosa (tua eponima)

    Anonimo ha detto...

    Questo lo avevi letto?!? L'odalisca sul blog di Grazia. http://tinyurl.com/lk8to

    Il fatto che lui sia musulmano la protegge dagli aspetti peggiori di questo genere di storie. Niente inganni, menzogne, ritagli di tempo sgraffignati qui o là, nessuna vischiosa clandestinità: lui divide la sua settimana in due parti e a lei ne spetta una. Semplice.
    E poi non si sente in colpa, lui. Poligamo col beneplacito dei cieli, non prova il bisogno - esplicito o inconscio che sia, cosa importa - di pentirsi della sua voglia di mangiarsela e di esserne divorato, di tutto quell’abbracciarsi e giocare, di quel sottilissimo filo un po’ perverso che scorre attorno all’urgenza di finire tra le lenzuola e nei sogni che ti si agitano dentro quando ne sei fuori e ti mancano, quelle lenzuola, e a dormirci dentro da sola ti ghiacciano.
    Non c’è bisogno che faccia penitenza, lui, e quindi non la fa fare neanche a lei. Non quella, almeno.
    E risparmiarsene almeno una, di penitenze, è già qualcosa.

    Il suo problema è l’eccesso di luce, piuttosto.
    La vividezza spietata con cui le appaiono le dinamiche di ciò che accade è il costo dell’essere protetta - liberata, per meglio dire - dalle brutture della clandestinità.
    Lei sa quando lui è a letto con l’altra che, a sua volta, sa che lunedì-martedì-mercoledì è il letto di lei ad accoglierlo.
    Entrambe sanno che lui è un po’ nei guai con le camicie da stirare ed entrambe, pare, colgono con inevitabile malizia la valenza simbolica dell’incertezza domestica in cui lo vedono navigare.
    Entrambe usano il telefono con una certa discrezione quando lui è dall’altra, o almeno ci provano, ché la stabilità emotiva è un auspicabile obiettivo, in queste situazioni, e nulla più.
    Entrambe possono monitorare, attraverso di lui, lo stato d’animo dell’altra e registrarne le variazioni.
    Abbastanza prevedibilmente, la moglie di lungo corso è forse più incazzata che addolorata mentre a lei, la nuova, non farebbe male incazzarsi un po’ di più per attutire qualche dolore. Negli amori freschi, la rabbia fa fatica ad attecchire.
    Entrambe giurano - e spergiurano - di accettare con serenità e convinzione l’esistenza dell’altra ed entrambe cercano di non finire dallo psichiatra nel corso dell’impresa. Non dallo stesso psichiatra, almeno.

    Può succedere che lui si sbagli e porti l’odore dell’una nel letto dell’altra. Lei sa che ha un odore un po’ fumoso, l’altra, come con una punta di selvatico. Un odore ombroso, acre, spigoloso - non pungente, solo spigoloso - e senza nulla di dolce. Non le piace. Suppone che sia normale che non le piaccia.
    E, mentre lui si barcamena per amare tutte ed esserne amato e vivere felice, contento e pieno di ottime intenzioni realizzate, lei percepisce con imbarazzo l’ovattata corrente di competitiva ostilità tra femmine che invade come una nebbia la speranzosa glasnost erotico-sentimentale dell’affaticato sultano.
    La avverte anche dentro di sé, con un certo senso di mortificazione: non può, per cultura e formazione, ignorare la dimensione fortemente antiestetica delle guerre tra gatte e poi sospetta di essere anche poco adatta ai veleni da harem. Stordita com’è, sarebbe capace di bersi pure quelli preparati da lei stessa. Si osserva con un certo disagio, quindi, e ultimamente si domanda se finirà con ricordarsela con imbarazzo, questa storia, e poi decide di pensare ad altro. Con tutte le sue forze.

    Più di tutto, ciò che le è difficile fare propria è la scoperta del fatto che la poligamia - eppure lo dice la parola stessa - è fatta per preservare l’esistente, non per romperlo.
    L’adulterio rompe.
    La separazione è fatta apposta per rompere.
    La poligamia conserva, lei lo sta sperimentando in presa diretta.

    E’ sicura che quei due si sarebbero già ampiamente lasciati, se non fosse arrivata lei.
    Lo stavano facendo. Fosse arrivata un mese dopo (ma dove hai il tempismo, di’?) avrebbe trovato tutto in ordine e un uomo affranto da consolare, anziché il compiaciuto Saladino che, lieto di essersi di colpo trasferito in un mondo di affollate lenzuola, dimagrisce e ringiovanisce e si fa sempre più bello quando il suo copione di scena - di lui, accidenti; di lui, non di lei - prevedeva che passasse una primavera di incubo e divorzio e lutto da smaltire, altro che starsene a ronfare sotto un piumone non suo, con quel pacifico russare leggero che fa da colonna sonora a lei che non dorme e scrive, con la tastiera illuminata dalla sola luce dello schermo e la paura di svegliarlo, ché non è bello svegliare un uomo che riposa.

    Si interrompe qui, questo post. Ché tanto scrivere, capire e cercare di buttare su una pagina - da sola - questo nodo che porta fisso nel petto da giorni e giorni - da mezza settimana? - non serve a niente, è una battaglia sciocca. Meglio riportarlo a letto, questo senso di soffocamento pesto ed esausto, smettere di combatterlo e consegnarlo al ritmo del respiro di lui che dorme. “Fidati di me”. “Sì. Sì, ok, mi fido di te. Va bene.” E si scioglie, passa. Passa solo così, lasciandolo scorrere. Spegnendo tutto e tornando a letto, facendo piano.