sabato 4 marzo 2006

i pochi aspetti positivi della fine della guerra fredda

Quando da piccola tornavo a casa puzzolente di lacrimogeni dalle manifestazioni, mio padre era spesso parecchio incazzato (non c'è nulla di peggio di una incazzatura nutrita da una preoccupazione). Erano - a pensarci - temi sorprendentemente attuali: ricordo la sua furia - di uomo di sinistra - dopo la manifestazione contro lo scià e in favore di Khomeini (io però nego di esserci andata) e lo striscione che sventolava al congresso di DP, "Viva il Libano progressista", me lo rinfaccia ancora, neanche mi chiamassi Lucio Magri.
Andai - quello sì - alla manifestazione/funerale di quel grosso figlio di puttana di Mao.

A quei tempi mio padre era una sorta di "coscienza critica", per me: le obiezioni che mi faceva le riportavo ai miei amici, fingendo che fossero mie, e con lui discutevo dando voce alle idee dei "compagni". Una posizione infelice: subivo il disprezzo degli uni e dell'altro, e il mio ego e (per non parlare del mio id) erano schiacciati da questa folla di supereghi in conflitto tra loro per il monopolio della mia attonita e tutto sommato pacifica e pigra materia grigia.

Si diceva, mio padre, avverso alle ideologie tutte, e in particolar modo a quelle che l'avevano personalmente turlupinato, e - approdato fresco fresco al liberismo - mi spiegava - con dovizia di esempi - che "il libero mercato si autoregola".

Ovviamente il crollo del muro fece guadagnare diversi punti al superego paterno, mettendo un po' da parte quello dei compagni, salvo poi dover riconoscere che quello dell' "autoregolazione" del libero mercato era - ne' più ne' meno - un "modello" interpretativo, con relative luci ed ombre. Una "ideologia".

Vedere l'America che mette i dazi alla Cina comunista è spettacolare: è un mondo grottesco, infame e pericolosissimo, il nostro: ma se fosse continuata la guerra fredda sarebbe stato straordinariamente noioso.

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