lunedì 30 aprile 2007

Le vite degli altri

Se c'è una cosa che odio di più del fatto che qualcuno mi racconti i film, è raccontare i film.
Questo poi (che è uno dei film più belli che abbia visto negli ultimi anni) va rigorosamente visto senza sapere niente prima: sarebbe una narrazione piena di invenzioni geniali, di svolte impreviste e interessanti, se non fosse - pare - tutt'altro che inventata. Dirò solo che ha minato leggermente la mia solida convinzione secondo la quale chi pratica il male per interesse è meno pericoloso di chi lo fa per convinzione ideale: e quando qualcuno o qualcosa riesce a mettere in dubbio una mia convinzione, io son felice.
Andatelo assolutamente a vedere.

venerdì 27 aprile 2007

eccolo!

Era lui, Baris Manco, il rokkettaro turco degli anni settanta!

condizionatori

Non basta non avere una politica energetica, essere in ritardo sul solare, avere detto di no al nucleare. Nel mio palazzo sono quasi tutti uffici, e per qualche motivo che ignoro non sembrano affatto interessati a contenere gli sprechi. Ogni anno è una lotta al coltello per farli tacere nelle ore notturne (osservare nella foto la distanza del condizionatore dal davanzale della camera dove lavoro, e dormo).
Ma quest'anno abbiamo raggiunto il top: siccome erano ancora accesi i riscaldamenti, i mentecatti invece di girare le manopole dei termosifoni hanno fatto partire i condizionatori.
Penso mestamente a come si commenteranno questi scempi dementi, quando si leggerà questo post (che ora stampo) con un lumino ad olio di colza.

martedì 24 aprile 2007

rock duro, ma non puro

Avevo dodici anni, era la vacanza più bella della mia vita, e la world music codificata come sorta di manifesto global , così come l'incupimento fondamentalista identitario erano fenomeni al di là da venire: in Turchia si suonava il rock duro (ma non puro) .
La rete è una memoria che contiene tutto, anche il passato più remoto e apparentemente dimenticato.

giovedì 12 aprile 2007

così dicono

Di tutti gli aspetti odiosi delle leggende nate dal pregiudizio, mi ha sempre sconcertato la proterva negazione dell'evidenza. Perché gli zingari, con tutti i bambini che hanno, dovrebbero procacciarsene di nuovi con la violenza per mandarli a raccogliere elemosine? Perchè - se rapissero i bambini - non ci sarebbe traccia d'altro - nelle cronache - che costanti delle accuse mai provate, di rapirli? Se gli ebrei/sionisti (mi adeguo all'erroneo uso dei due termini come sinonimi) fossero tanto potenti, perché questo potere non dovrebbe manifestarsi - come sempre e a tutti accade in questo mondo - in vasti territori, potenti e vittoriosi eserciti, sontuose dimore, deferenza dei vicini? Perché gente tanto potente nel mondo non riuscì a fuggire dal ciclone nazista, e neppure a ottenere asilo dai nemici del nemico?
Le funzioni sociali delle leggende di paura intorno all "altro" da se' sono molte e complesse, ma sono convinta che la colla che le tiene insieme e le rende invincibili sia il conformismo.

Pur di conformarsi all'opinione comune, si nega qualsiasi evidenza. A volte inconsciamente, a volte semplicemente per non andare controcorrente.
Nel filmato, un esperimento in cui viene chiesto ai partecipanti di confrontare delle rette e di accoppiare le due uguali.
Tutto il gruppo è complice, tranne una persona, ignara.

[Hat Tip - psicocafè: consiglio vivamente tutto l'articolo, e anche l'altro filmato]


mercoledì 11 aprile 2007

intervista a Primo Levi - Il Sistema Periodico

Oggi ricorre il ventennale della morte di Primo Levi, e mi sono decisa - cosa che volevo fare da tempo - a recuperare in uno scatolone di vecchi documenti impolverati le mie tesine di maturità.
Ho avuto l'onore, in quell'occasione, di intervistare Primo Levi per le mia tesina su "Il sistema periodico". Al tempo, perdutamente innamorata letterariamente dell'autore, ero entrata nella sua bella casa di Torino stordita dalla timidezza e dal timore di non essere all'altezza del compito, sebbene le domande fossero state accuratamente preparate prima, in giorni di discussioni e riflessioni con mio padre.
Invece mi aveva messo a mio agio immediatamente, lui, con i suoi modi gentili e la sua limpidezza.
Rileggendo quella vecchia intervista però la cosa che mi ha più colpito è la consapevolezza di quanto le letture di Primo Levi, e l'intervista stessa siano state per me formative in quegli anni importanti e quanto facciano ancora profondamente parte di me.

Tutto torna, niente va perduto, proprio come l'atomo di cui narra Primo Levi in "Carbonio" (il più bel racconto della mia vita, leggetelo) e dunque l'intervista ve la ripropongo qui:

Io:
In "Argon" lei descrive una fase di perdita di identità di una comunità ebraica. Per quanto riguarda il problema del rapporto tra lingua e cultura dominanti, esistono delle analogie, anche se con delle grosse differenze, con l'attuale problema delle lingue tribali in Africa, che vengono sostituite dallo swaili, dal francese e dall'inglese. Lei ritiene che le culture che scompaiono lascino traccia di sé arricchendo quelle dominanti, oppure con loro scompare tutto?

Primo Levi:
Anzi, la descrizione che io ho voluto fare in "Argon", che ho scritto nel '46, quindi assai prima della stesura del libro, mette in luce il fenomeno contrario, l'acquisto di una identità data dal fondersi di queste due culture, quella ebraica e quella piemontese, culture che tra l'altro in parte hanno avuto rapporti con il mondo non ebraico piemontese; ad esempio, nel museo ebraico di Casal Monferrato è riportato un pezzo scritto da un non ebreo, Angelo della Sala Spada, dal titolo "La gran battaja d'j abrei d'Moncalv" dove compare questo mondo ebraico, descritto anche attraverso questo dialetto misto.
Effettivamente però, dal punto di vista storico, questa già piccola comunità va scomparendo, e di questa rimangono solamente documenti e testimonianze.

Io:
Lei ritiene che sia giusto e che sia possibile intervenire in modo che questo non avvenga?

Primo Levi:
Non è possibile evitare questo fenomeno, perché il processo di assimilazione, che poi è lo stesso che sta avvenendo per lo yiddish, è un fenomeno storico che prescinde dalla volontà di chi lo subisce. Si può quindi studiare, ma non si può far rivivere questo mondo che scompare. L'unica possibilità è quindi operare un salvataggio archeologico portandone testimonianza.
Io:
Mio padre sostiene che in "Carbonio" ci sia traccia della filosofia ebraica del divenire e dell'unità, della vita come unico bene, della coscienza di se' espressa solo nell'uomo dalla materia non più inerte. Io invece sostengo che il racconto ha uno sfondo di ideologia e di filosofia laica e di interpretazione poetica delle attuali conoscenze scientifiche.

Primo Levi:
Probabilmente in "Carbonio" esiste un'intuizione, ma non cosciente, della filosofia ebraica.
"Carbonio" però, come tutto "Il sistema periodico" vuole essere in primo luogo polemico verso una cultura accademica e umanistica che esclude la possibilità di interpretare la scienza, la materia, l'esperienza concreta in termini poetici. In questo libro, e in particolare nella "Chiave a stella", voglio esprimere proprio la possibilità di vivere un mestiere prosaico con pienezza e poesia. Nel mio mestiere di chimico in particolare, come in ogni contatto umano con la materia esiste un sottofondo emotivo. Ogni chimico a livello elevato in tutti gli elementi avverte un'ombra simbolica. Ne "Il sistema Periodico", ogni elemento esiste come tale, ma viene usato per dire altre cose. A volte, come in "Ferro", sono persone ad essere rappresentate dagli elementi. In altri casi gli elementi stessi sono umanizzati.
Io:
Effettivamente in tutto il libro si avverte questo suo rapporto stretto con la materia. Che origini ha?

Primo Levi:
Durante il fascismo, nelle scuole veniva insegnato che è lo spirito a dominare la materia. La mia posizione è esattamente opposta. A volte madre, a volte nemica, è il fondamento principale dell'esistenza. Nel mio rapporto con essa mi sento molto vicino a Conrad e al suo rapporto con il mare. Così come il mare per Conrad, per me la materia è un partner spesso spietato, di cui però non posso fare a meno.

Estrae dalla biblioteca un libro di Conrad, "Gioventù", e cita un pezzo sottolineato:

- "Ma voialtri qui, tutti avete ricavato qualcosa dalla vita: denaro, amore... e ditemi, non è stato quello il più bel tempo, quando eravamo giovani in mare e non avevamo nulla, salvo batoste e a volte l'occasione di provare la propria forza..."
Secondo me esiste una lacuna, nella cultura italiana, che esclude un tipo di letteratura attinta da altri mestieri, da altre arti del vivere. Mi è sembrato quindi un esperimento che valeva la pena di fare, quello di attingere materia e documenti da quello che è stato il mio mestiere per 30 anni.
Io:
Come è arrivato alla costruzione de "Il sistema periodico"?

Primo Levi:
La costruzione di questo libro è avvenuta incorporando cose e idee diverse; un disseppellimento di cose viste e pensate e, a volte, già scritte. "Zolfo", ad esempio, era stato pubblicato per "L'Unità", altri, come "Carbonio", li avevo pensati molto tempo prima: neanche molti anni fa ho ricevuto una telefonata da un mio compagno di Lager che mi ha chiesto se avevo poi scritto la storia dell'atomo di carbonio.
Io:
Mi è sembrato che non a caso "carbonio" segnasse la fine dell'opera. Infatti ho la sensazione che sia la conclusione filosofica di tutti i temi del libro. E' realmente così?

Primo Levi:
Credo che questo debba essere giudicato dai lettori. Io lo sento conclusivo, anche se Calvino, quando lesse tutti i racconti mi disse che l'avrebbe messo in mezzo.
Io:
Lei si sente affine a Calvino, soprattutto nel rapporto tra ironia e ragione?

Primo Levi:
Io mi sento fratello di Cavino e lui di me. "Se questo è un uomo" e "il sentiero dei nidi di ragno" uscirono quasi contemporaneamente. Da allora, pur vedendoci poco, abbiamo percorso strade vicine e parallele; ad esempio esistono delle affinità tra "Il sesto giorno" in "Storie naturali" e "le Cosmicomiche."
Io:
Perchè la scelta di Escher per l'illustrazione di copertina de "Il sistema periodico"? Io ho pensato che la cascata perpetua, con il suo "moto statico" infinito di salita e di discesa potesse essere legato all'indistruttibile atomo di carbonio. Lei scrive, proprio in "Carbonio": "Su questo cammino all'ingiù, che conduce all'equilibrio e cioè alla morte, la vita disegna un'ansa e ci si annida.

Primo Levi:
Ho fatto questa scelta inconsciamente, perché mi piaceva quest'immagine. Probabilmente però intuendo quest'interpretazione.
Io:
Avverte dentro di se' "Lo Straniero", "L'Inoperoso"? Esiste qualcosa in lei del carattere dei suoi avi del Monferrato?

Primo Levi:
Lo sento come propensione all' otium, nel senso di dedicarsi a cose utili ma divertenti. Fra l'altro questo fa parte di una certa tradizione ebraica, che tende a commentare il commento del commento del commento...pensare ad esempio ad alcune pagine del Talmud: il testo piccolo al centro e tutto intorno i commenti...
Io:
In che modo ha influito sulla sua formazione il periodo di antifascismo latente, prima della deportazione e dell'antifascismo militante, che descrive in "Oro"?

Primo Levi:
Era un periodo di confusione e sprovvedutezza. Di antifascismo si aveva paura a parlare; Marx non esisteva e Croce veniva censurato. Facevamo riunioni di giovani ebrei e cercavamo di costruirci un antifascismo con tutto il materiale di cui eravamo a disposizione, nel mio caso, ad esempio, la chimica. Tutto poteva essere letto in chiave antifascista, tutta le nostre conoscenze, dai nostri rispettivi mestieri, ai racconti biblici, come ad esempio il racconto di Esther.

In questa foto - inedita come l'intervista ma di molti, molti anni prima - Primo Levi è insieme agli attori del Teatro Delle Dieci di Torino.

lunedì 9 aprile 2007

buona pasquetta

Dunque, ricapitolando.
Stamani, nonostante il lavoro da consegnare domani, vengo ingaggiata in un combattimento all'ultimo sangue con Castruccio, il quale vuole ad ogni costo commentare il mio ultimo post con una infinita sequela di insulti ad MMAX, il quale - non ammettendo commenti al suo blog - deve necessariamente aizzare i miei troll per divertirsi un po', e poi fare delle sintesi elaborate a cui è impossibile dare replica (se non da me).
Esasperata, capisco di avere perso ancora una volta la mia battaglia e mi rassegno a moderare i commenti.
Mentre Castruccio chiede asilo al Griso (il quale stamattina s'è svegliato con l'incontenibile voglia di scrivere un post dedicato a me - d'insulti, sia chiaro) in una pausa da lavoro, modero un paio di commenti: Nel primo Uriel mi dà della nazista perché penso sia un diritto quello di cambiare scuola se non piacciono gli insegnanti, e nel secondo, a commento del mio post "islam politico e identità", Annarella mi comunica che è ben ora di smettere di parlare dell'islam politico e bisogna invece iniziare a parlare di quello religioso. Proposito enomiabile, sottoscrivo, ma purtroppo non ne so una cippa: l'unica roba islamica non politica che abbia mai letto sul web è fatta da Sufi e ad Annarella - sarcazzo perchè - i Sufi fan girare le balle.
Sul counter 5 persone mi cercano con parola chiave"ornitofobia". (ma questo, va detto, succede fin dagli esordi del blog, è un campo in cui - mio malgrado e anzi, con scorno - eccello)
Torno sul blog del Griso per controllare la situazione e cosa scopro? Che la storia, nata sul mio blog con una interminabile lagna di Castruccio, si è sviluppata su quello del Griso in una appassionante telenovela con pubblicazioni di mail private riguardo ad un misterioso quanto interessantissimo passato sospeso tra VL e RL tra la Dacia e il temibile Troll.

Ora io dico. Ma è sfiga o che cosa ho sbagliato?

islam politico e identità, risposta a Suri

Ho risposto così al commento di Suri a questo post sul blog di Lia.

"Hai viaggiato, abitato paesi, assorbito cultura: scrivi in un italiano invidiabile...eppure tutto questo non ti ha impedito di connetterti con il tuo "deserto", che senti profondo e radicato. Il mondo, le cose - intendo dire - ti hanno attraversato e fanno parte di te senza contaminarti: è il concetto stesso di "contaminazione" la radice dell'errore, l'errore dell'islam politico, intendo.
Per me la "normalità" non è altro che questa. Noi abbiamo usato la carta, ci ha cambiato certamente l'esistenza, senza per questo trasformarci tutti in cinesi. L'uomo è una scimmia copiona, proibire la contaminazione in nome di una purezza che non può essere umana, finisce con l'essere una operazione artificiale e violenta. Un movimento che - in nome dell'odio contro l'invasore - volesse distruggere ogni traccia di cultura araba dalla Sicilia, o far diventare cristiani tutti gli albanesi, o combattere contro la britannica puntualità delle poste indiane - dovrebbe opporsi con la violenza al flusso "normalità" umana. Di curiose scimmie copione."

domenica 8 aprile 2007

pillole sul relativismo

C'è chi ritiene che per entrare in Europa si debba essere cristiani, e c'è chi ritiene che per entrare in Europa si debba abolire la pena di morte. Ecco: io sono profondamente favorevole alla seconda opzione, e profondamente contraria alla prima. Intendo questo, quando parlo di stabilire un minimum set. Chiedo contestualmente a Dacia se pensa che la precondizione di abolire la pena di morte per poter entrare in Europa sia un grave atto di violenza sciovinista colonialista e sionista.
Lasciatemi lavorare!

sabato 7 aprile 2007

from padania con amour

clicca la foto per ingrandirla:

"La nostra Bassa non è di certo rinomata per le sue qualità climatico-ambientali, che anzi risultano presentare spesso e volentieri un carattere piuttosto difficile, basti pensare alle proverbiali nebbie invernali di questi luoghi. Ma secondo una consuetudine alla quale i racconti di Giovannino Guareschi ci hanno abituato, questo territorio è anche capace di riservare delle sorprese paesaggistiche singolari. E’ il caso di un albero di ciliegio che da alcuni anni è ospitato fra le mura di una casa diroccata, in località San Rocco, a Roccabianca. Lo strano fenomeno assume un fascino particolare proprio nel periodo primaverile, quando la fioritura sui rami dà vita ad una curiosa fusione fra l’ambiente naturale e la chiara impronta di una tradizione contadina dalle radici antiche."

Un lettore di Mondo Piccolo


venerdì 6 aprile 2007

ethno girl

Con i teorici dello scontro di civiltà è impossibile entrare nel merito dei contenuti: in qualsiasi confronto arriva il momento in cui alzano un limite simbolico ma invalicabile, che non ammette repliche: non conta più l'oggetto della discussione ma soltanto i loro attori. La loro Fede, le loro Origini, la loro Identità. Accade con Dacia, con Oriana, con Deborah: nello stesso modo e con modalità simili.

Dacia, sul suo blog, scrive un post appassionato - beffardo e divertente come d'abitudine - ma inutile: programmaticamente e scientemente privo di contenuto.

Quando i fronti sono delineati non già dai contenuti - oggetti flessibili - ma dal sangue - oggetto simbolico di natura incerta e durezza adamantina (si basti pensare alla razza italica, per capire quel che intendo) - che senso può avere la parola?

Dacia profetizza un futuro generico movimento "di rottura": a tutt'ora sappiamo da lei solo che le sue schiere saranno ordinate su base etnico-religiosa - l'islam e gli africani protagonisti, e - chissà perchè - i buddhisti dello Sri Lanka comprimari - e che i suoi obiettivi di breve, medio e lungo raggio non sono unfortunately al momento disponibili. A parte - ovviamente - schiaffarla nel culo a moi (mica come persona, che son simpatica: come simbolo, ovviamente) che non sarà un granché sul piano della progettualità, dicamocelo, ma ha il dono della semplicità. Mica nulla di nuovo, eh: è un po' la buona vecchia logica della gambizzazione dei sindacalisti: colpiamo gli agenti dello SIM, quanto al resto si vedrà poi.

(per inciso, l'ottica etnica mi interessa meno di un cazzo, viceversa metterla nel culo ai fautori dello scontro di civiltà per me è un goal primario, eh? Solo perché il mio pacifismo non sia eccessivamente frainteso, we shall overcome sta minchia)

Come la beffarda fanciulla candidamente ammette, dunque, qualsiasi opzione, progetto politico, proposta, è in se' sospetta e inaffidabile non tanto per il suo eventuale contenuto - indiscutibile per definizione - ma per la sua fonte, cassata senza ulteriori indagini.

Lei rappresenta dunque la Giustizia: e per grazia ricevuta.

(ahi, se mai fosse sensato farlo, si potrebbe per una volta giocare a Miss Ethnic con Sua Etnicità in persona: CUANDO EL REY NIMROD sai i miei avi dhimmi, lavoratori alla salatura delle teste dei condannati in terra di Algeria , o erano a Tunisi? - URUH ma di sicuro sputati dalle navi a Livorno due secoli fa con le pezze al culo? Quello? E' un dijeridam, mi marido ha uno zio aborigeno, AVA NAGHILA, no che non sono andata in vacanza, stronza, noi sefarditi siamo abbronzati: per carità nulla al confronto, eh! C'ho il patronimico arabo! Prima si suona il violino sul tavolo: poi si balla la hora? NERENNENNAH)
Niente da fare, noi non si emana medioriente, non ci sono quarti di terzomondità ostentabili a fronte di tanta sovrabbondanza etnica.

Naturalmente far notare ad un teorico dello scontro di civiltà che la sua visione è manichea è impossibile. Si può forse convincere Oriana del fatto che i crociati fossero delle bestie? Giammai! Ammetterà mai Deborah le colpe di Baruch Goldstein? Ma no, troverà sempre delle ottime giustificazioni. E parimenti sarà impossibile far notare a Dacia - per esempio - che la storia del suo pueblo d'elezione, l'Islam, non è necessariamente una storia di gente aliena dal potere: che è - anzi - una storia di conquiste e di grandi imperi.
O che le carneficine tribali non sono affatto "pittoresche" solo perché agite da neri.
Chi teorizza lo scontro di civiltà è costretto ad esser cieco di fronte alla trasversalità del fenomeno del potere, nella storia dell'uomo: quella bestiaccia, il potere, che ciclicamente viene uccisa e che risorge a nuova vita, con nuove forme e nuovi attori, e che sfoggia abiti ogni volta diversi, techno, ethnic, american style, pure black, soviet chic, restando sempre invariata nella sostanza.
La stessa premessa - nel riconoscere una trasversalità di oppressori e oppressi - verrebbe a cadere, e con quella il castello ideologico - assai debole di sostanza ma forte nelle simbologie - che la sorregge.

Sarà per questa necessità di non mettere in discussione la fede nei doni innati, nelle rendite di posizione cromatiche, o per questo bisogno di negare la trasversalità di vizi e virtù umane, che Dacia - invitata a riflettere ed argomentare sulla qualità non etnica dell'esercizio del potere - liquida il destino tragico dei piccoli uomini della foresta, neri vittime di oppressione e di rapina ad opera di bastardi sì - ma concolori - con una bella, schietta, argentina risata?

serve una moglie?

Mogli in affitto in pronta consegna. Soddisfatti o rimborsati. [hat tip Marco d'Itri]

migrazioni umane

Cliaccare per ingrandire. La colorazione delle frecce è relativa alle epoche delle migrazioni.


Tanto per dire che le migrazioni umane (quelle dall'Africa sono iniziate 100.000 anni fa e non sono ancora terminate) non sono esattamente un portato del capitalismo, come vorrebbe la visione schematica terzomondista e no-global. Per la verità l'incessante muoversi alla ricerca di nicchie migliori per la sopravvivenza, più ricche, più fertili, la fuga dalle pestilenze e dalla siccità e dalle carestie direi che inizia con i batteri, quegli agenti della mondializzazione giudo-pre-cambriana.

giovedì 5 aprile 2007

curiosità antirelativista

Bene: ammettiamo per un attimo che il minimum set di diritti sia virtualmente impossibile da negoziare perché l'umanità "non esiste", e le identità delle varie umanità siano qualcosa di anelastico e impenetrabile.
Presumo che a una ragazza del Ghana si debba sparare sulla barca, o rispedire al suo paese, o al massimo mandarla a raccogliere pomodori. Di certo non affidarle un neonato: io non affido mio figlio a qualcuno con cui è virtualmente impossibile negoziare un set minimo.
Ho capito male o qualche relativista mi spiega meglio?

erano centoquaranta commenti

e ora non sono più. E neppure il post, muoia Sansone con tutti i filistei.
Qualcuno ha qualcosa in contrario?

mercoledì 4 aprile 2007

welcome home

Oh, cazzo, sto via tre giorni e trovo il blog che è un lupanare de freak e troll incazzati, trombate virtuali, nani e ballerine e quel che è peggio la mia webcam preferita - la mia privata finestrella sull'antartico - quella che mi ha confortato nelle lunghe notti invernali china sul lavoro (come il Piccolo Scrivano Fiorentino) con le sue aurore infinite dai colori cangianti, quella
che da un po' di tempo s'andava rabbuiando dandomi il brivido di assistere in diretta alla lenta discesa della eterna notte antartica, beh, me la ritrovo così:

Insomma, è passato un tizio, e l'ha girata verso l'interno della base.
Fine dei giochi.
E il bello è che continua ad aggiornarsi ogni minuto sul binocolo, eh?